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“Chiedi chi era quel Beatle” – da “Wired” di luglio-agosto 2009

Per scrivere una canzone come Yesterday è meglio avere una scatola cranica tondeggiante. Se invece volessimo un pezzo più rock, facciamo Get back?, è preferibile che il cranio sia più stretto e lungo. Il fatto che i due brani abbiano lo stesso autore porta dritto al cuore del rompicapo, che da quarant’anni ha un nome, anzi una sigla: P.I.D. (Paul Is Dead). Il Paul in argomento è naturalmente McCartney che, oltre a Yesterday e Get back, ha scritto decine di pezzi pop-rock di successo. Paul è al centro di una delle più curiose, persistenti e articolate leggende metropolitane di ogni tempo: quella che sostiene la sua morte (tenuta segreta) già nell’autunno 1966 e la sostituzione con un sosia destinato a proseguirne la trionfale e lucrosa carriera. Fino a oggi.

di Fabio Andriola e Alessandra Gigante, da “Wired.it” di luglio-agosto 2009 

Molti sondaggi confermano che la leggenda di P.I.D. è tra le più conosciute dall’opinione pubblica. Da oggi, forse, nuovi sondaggi potrebbero dare risultati ancora più netti, grazie alle scoperte di due ricercatori italiani che per verificare tutta la storia non si sono limitati a mandare al contrario tracce musicali o a fare l’esegesi di un testo ma sono ricorsi ai rigidi protocolli che regolano la pratica forense della metodologia identificativa.

Gabriella Carlesi e Francesco Gavazzeni sono una strana coppia: lei è un’anatomopatologa, lui un informatico. Lei è un’esperta nel riconoscimento craniometrico, lui mette le potenzialità del computer a disposizione di una disciplina nata a metà Ottocento: la craniometria appunto. Secondo lo Zingarelli, «è la scienza che si occupa della misurazione del cranio in rapporto all’antropologia e all’anatomia comparata». Ora, per identificare una persona la certezza assoluta la danno due esami: le impronte digitali e il dna (se il prelievo dei campioni è effettuato correttamente, cosa che non sempre avviene). In assenza di polpastrelli e di campioni di dna la metodologia identificativa ricorre all’antropometria e, in particolare, alla craniometria, che si basa sull’analisi di alcuni precisi punti. Presenti nel viso di chiunque, immodificabili e codificati nell’Ottocento dal francese Paul Broca. Quali sono questi punti? In termini non scientifici potremmo definirli la distanza tra le pupille, l’intersezione tra il naso e le arcate sopraccigliari, il punto in cui la base del naso si stacca dal labbro superiore, la conformazione di mandibola e mento, i padiglioni auricolari. Poi c’è la forma del cranio.

In generale però l’anatomia topografica preferisce parlare, più che di punti precisi, di “regioni”, perché nell’arco di pochi centimetri di pelle possono esserci più caratteristiche utili a stabilire somiglianze e differenze. L’antropometria e la craniometria, per quanto abbiano un’origine ottocentesca, sono alla base della biometria, la scienza usata oggi per il riconoscimento personale dalle intelligence più sofisticate del mondo. Immensi database di dati biometrici di terroristi e ricercati vengono rapidamente incrociati e, in base ad algoritmi generati dai punti del volto, svelano la vera identità di persone riprese da telecamere o fotografate agli aeroporti. Quanto a Carlesi e Gavazzeni, incrociano le loro competenze e, come accade nei telefilm, vedono davvero quello che noi umani non possiamo neanche immaginare. Per questo hanno coadiuvato le indagini in casi di cronaca nera o di intrighi internazionali: dal mostro di Firenze all’attentato a Giovanni Paolo II, dal delitto di Erika e Omar a Novi Ligure all’inchiesta sulla morte della giornalista Ilaria Alpi. Ogni volta aggiungendo elementi decisivi sia per le indagini di polizia sia per il giudizio di tribunali e commissioni parlamentari d’inchiesta. Le loro perizie antropometriche su fotografie e filmati hanno contribuito a escludere che sia stato il somalo Hashi Omar Hassan a uccidere Ilaria Alpi e il suo operatore Miran Hrovatin nel maggio 1994 a Mogadiscio. Sempre loro hanno aperto una nuova pista nel caso del mostro di Firenze quando, insieme al professor Giovanni Pierucci, decano della medicina legale italiana, hanno dimostrato che l’uomo ripescato dal lago Trasimeno nel 1985 non era in realtà il medico Francesco Narducci, sospetto mandante degli omicidi del “mostro”.

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La decisione che spinge due esperti di questo livello a dedicare tempo e intelligenza alla verifica di P.I.D. viene presa in un sabato di marzo del 2006, nell’Istituto di medicina legale di Pavia. È qui che ha il suo centro la squadra raccolta intorno al professor Pierucci, titolare della cattedra di medicina legale con la passione per la storia. Ed è qui che si stanno registrando le interviste per un documentario sulla morte di Benito Mussolini e Claretta Petacci, tema sul quale Pierucci e “i suoi ragazzi” hanno fatto scoperte sensazionali analizzando le foto di piazzale Loreto, scattate a Milano il 29 aprile 1945. Vecchie e drammatiche immagini capaci di rivelare, solo grazie alle più recenti tecniche di analisi, particolari inediti e una dinamica degli eventi diversa da quella della classica fucilazione. In pratica: nessuna duplice esecuzione davanti al famoso cancello di Giulino di Mezzegra alle 16 e 10 del 28 aprile 1945, ma due uccisioni distanti tra loro qualche ora e qualche centinaio di metri. Prima Mussolini, forse durante una colluttazione, viene colpito frontalmente e a bruciapelo mentre è in maglietta e senza stivali; più tardi lei, vestita e in pelliccia, è falciata alle spalle. In seguito, lui rivestito alla meglio e lei senza più la pelliccia, vengono portati a piazzale Loreto. Quel giorno, nessuno dei tanti fotografi poteva immaginare quante cose avrebbero potuto rivelare, sessant’anni dopo, i loro scatti.

Archiviato il caso Mussolini-Petacci, arriva la proposta per una nuova sfida: perché non dare un’occhiata a un po’ di vecchie foto, questa volta degli anni Sessanta, e dimostrare l’infondatezza di una leggenda metropolitana tanto diffusa quanto incredibile? La sfida è raccolta da Gabriella Carlesi e Francesco Gavazzeni con divertimento e una punta di sufficienza, perché qui non ci sono cadaveri o fori di proiettile da analizzare. Bisogna piuttosto spingere il più in là possibile le proprie capacità di raffrontare le immagini per scoprire se due volti appartengono o no alla stessa persona. Una specialità che i due avevano già messo in atto qualche anno prima, quando si doveva capire se in piazza San Pietro, il 13 maggio 1981, accanto al turco Alì Agca che sparava a Giovanni Paolo II ci fosse o meno (e in realtà si scoprì che c’era) il bulgaro Sergei Antonov.

L’incrocio tra craniometria e tecnologia (che, tra le altre cose, consente di portare a proporzioni omogenee foto dello stesso soggetto scattate in momenti diversi) ha permesso di osservare, come mai prima, una serie di immagini di Paul McCartney dagli anni Sessanta a oggi. Gavazzeni spiega: «Adesso è infinitamente più facile vedere e notare certe cose, perché la tecnica di elaborazione digitale permette una velocità di comparazione e una precisione di analisi nettamente superiori a quelle anche di soli dieci anni fa». Il primo passo è quindi cercare e selezionare immagini per poter mettere in proporzione le foto migliori per qualità e inquadratura e procedere a misurazioni e confronti. Al termine si potrà emettere il verdetto. Sul quale né Gavazzeni né Carlesi, all’inizio, sembrano nutrire seri dubbi: «Ma sì, mi son detta, ci mettiamo due minuti a concludere che si tratta della stessa persona», ricorda sorridendo l’anatomopatologa. «Un’occhiata a quello che c’era su internet sembrava sufficiente a liquidare la faccenda: non sanno operare con una metodologia corretta e così riescono a dimostrare quello che vogliono». In generale, sui tanti siti web dedicati alla leggenda di Paul Is Dead, la dimostrazione a cosa porta? A dire che, nel novembre 1966, il “vero” McCartney morì in un incidente automobilistico e venne rimpiazzato da un sosia, mancino e musicista come lui. (Continua…)

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Inserito su www.storiainrete.com il 24 luglio 2009

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