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Delio Cantimori, Moby Dick e il Fascismo: una lezione di metodo

Delio Cantimori è stato uno dei più importanti storici del ‘900 italiano. Definito da Renzo De Felice come “il patriarca della storiografia marxista dell’Università italiana”, ha assunto un ruolo centrale nelle riflessioni sul fascismo.
di Guglielmo Motta da Amanti della Storia del 5 febbraio 2018

Il rapporto con Cantimori è forse il più importante, specie per una persona giovane com’ero io allora, quando l’ho conosciuto. La conoscenza è avvenuta in relazione alla mia tesi di laurea, e ho poi continuato ad avere con lui rapporti di amicizia sempre più personale, nonostante la differenza d’età, fino alla morte.

Questa è la descrizione che De Felice offre all’interno dell’Intervista sul fascismo con Michael Ledeen. Delio Cantimori (1904-66) ha vissuto una fase intensa del XX secolo, caratterizzata da due guerre mondiali, dall’avvento di un nuovo fenomeno politico e dall’emergere della democratizzazione in Italia e in Europa nella seconda metà degli anni ’40.
La sua riflessione politica sul fascismo si arricchisce in particolare in relazione a una metafora ben riuscita: si tratta dell’immagine di Moby Dick, la grande balena bianca raccontata da Melville, che viene insetita all’interno del saggio Conversando di storia, pubblico nel 1967 nella Biblioteca di Cultura moderna dell’editore Laterza.

Non si può parlare storicamente, cioè criticamente, di «fascismo» come se il fascismo fosse stato una specie di balena che tutto inghiottì indiscriminatamente, o che tutti satanicamente portò alla perdizione, come Moby Dick: ma occorre discernere la varietà di correnti, movimenti, tendenze, persone, interessi economici e finanziari, ecc. ecc., e anche illusioni, fantasie, incoscienze, ecc. ecc., che permisero a Mussolini e ai suoi di conquistare in quel tal modo il potere, di tenerlo, di conservarlo.

Si tratta di una tematica molto interessante perché trova il suo nucleo fondamentale nel concetto di generalizzazione, molto caro ai tempi in cui viviamo e necessario tanto per la contemporaneità quanto per lo studio del ventennio fascista (1922-43).

Il fascismo non è un blocco monolitico, che “tutto inghiottisce”. All’interno di questa affermazione, solo in apparenza banale e semplicistica, è presente una profonda presa di consapevolezza della portata storica e della complessità del fenomeno e delle sue sfaccettature. Ciò che risulta di maggiore interesse è il fatto che Cantimori allarga il discorso anche all’antifascismo, “tanto nelle linee generali di quel periodo quanto negli svolgimenti cronologici”.

Se non si comincia a guardare le cose in questo senso, e se si tien fermo a quegli schemi generali, si corre rischio di perdere il senso delle proporzioni e delle prospettive, tanto di quelle vicine che di quelle lontane, e di cadere nel più repellente dei moralismi: quello storico-politico. Un fascismo preso in blocco, un antifascismo preso in blocco, indifferenziato quello, indifferenziato questo.

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