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La divulgazione storica in rete. Intervista a “Storia in Rete”

Conosciamo da vicino la realtà della divulgazione storica in rete, facendocela raccontare da chi la svolge quotidianamente.

di ALESSANDRO AGRATI dal Cibernetico del 29 giugno 2021 

Anche se il fenomeno della divulgazione storica in rete è esploso da pochi anni, va detto che qualcuno svolge tale attività già da molto tempo. Questa intervista sarà infatti dedicata a “Storia In Rete“, una realtà con alle spalle ormai più di due decenni, nata come sito internet e sviluppatasi in seguito anche come rivista cartacea. Caratterizzata da un taglio nettamente giornalistico, questa pagina pone l’attualità al centro della divulgazione storica, come ci spiegherà nei dettagli Fabio Andriola, direttore e co-fondatore del progetto.

Come nasce “Storia in Rete”? Sbaglio o la vostra è stata la prima pagina internet italiana dedicata alla divulgazione storica?

“Storia In Rete”, anzi www.storiainrete.com, nasce nel luglio 2000 da un’idea mia e di Sandro Provvisionato, un amico ma anche un collega con un importante esperienza nel giornalismo investigativo e come inviato di guerra. Avevamo due formazioni culturali e professionali diverse ma ci univa la passione per la Storia, recente o remota che fosse, raccontata in modo non convenzionale e cioè senza paraocchi o ipocrite indulgenze verso il “politicamente corretto”. Valeva e vale sempre la regola che una notizia è meglio di un commento e qualunque tesi ha dignità se può vantare qualche pezza d’appoggio documentale. Francamente non so se siamo stati i primi a immaginare un portale storico, tenderei ad escluderlo in linea generale, ma sicuramente, né in Italia né all’estero ci sono molte realtà che cercano di coniugare giornalisticamente storia e notizie cercando di andare oltre la prassi, legittima ovviamente ma un po’ scontata, di rincorrere soprattutto gli anniversari. Invece, la Storia è costantemente al centro di fatti di cronaca, polemiche, scelte politiche, conflitti un po’ ovunque. La nostra sfida è sempre stata quella di presentare la Storia sotto questa angolazione, un po’ perché nasciamo giornalisti, un po’ perché ci piace così…

Parlateci un po’ di voi.

“Storia In Rete” vuol essere una voce discordante ma anche vuole tenere aggiornati i suoi lettori su quello che si muove intorno alla storia: notizie riprese anche dalla stampa straniera, libri, polemiche e dibattiti, nuove scoperte di documenti, nuove interpretazioni. Il nostro motto all’inizio era: “Il passato è in movimento”. Prospettive e conoscenze cambiano e si aggiornano di continuo anche perché la politica spesso ci mette lo zampino e quindi chi si occupa di Storia non deve mai dar nulla per scontato. Oltretutto l’avvento di internet vent’anni fa non ha lasciato più scuse: se uno vuole può aggiornarsi come fino a qualche tempo fa era impossibile anche solo sognare. Eppure, oggi molti ragazzi hanno conoscenze di base molto più lacunose e confuse di due o tre decenni fa. E questo va tenuto ben presente da chi vuol fare divulgazione.

Nel pubblicare i vostri articoli, seguite qualche tipo di filo conduttore?

Siamo un giornale e quindi la gerarchia delle notizie è dettata dall’attualità e dalla rilevanza del fatto. Se l’ultima notizia è il ritrovamento di una nuova tomba egizia andrà in testa lei. E se esce un libro che parla dei retroscena della missione di Rudolf Hess in Gran Bretagna nel 1941 oppure che sta per essere abbattuta una statua di Lincoln, il principio non cambia. Ripeto: anche se può sembrare strano per un sito di storia, è l’attualità (e la curiosità) a dettare la scelta delle notizie. E in oltre vent’anni non abbiamo mai avuto bisogno di correggere la rotta da questo punto di vista.

In che modo vi dividete il lavoro?

Il sito si divide in due “micro universi”: quello delle notizie è a cura mia e di Emanuele Mastrangelo che ormai collabora con me da oltre 15 anni. Sandro Provvisionato purtroppo è mancato poco più di due anni fa ma si era già allontanato da “Storia In Rete” per dedicarsi al suo “Misteri d’Italia”. Quindi aggiornamenti e titolazioni li seguiamo noi mentre poi ci sono i vari blog che sono, ognuno per se, un piccolo arcipelago di isole indipendenti: al momento sono nove ma l’obbiettivo è di arrivare almeno a 15/20. Ogni autore – alcuni collaboratori del giornale altri no – è libero di scrivere quello che vuole e addirittura molti inseriscono personalmente i loro post senza alcun controllo preventivo da parte nostra. Casomai, ogni tanto, interveniamo solo sui titoli per renderli più accattivanti. Lo scopo è quello di offrire, oltre alle notizie pure e semplici, opinioni o prospettive originali che sono sicuramente interessanti anche quando non rispecchiano in parte o del tutto la linea di “Storia In Rete”.

Oltre a pubblicare la vostra rivista mensile, svolgete altre attività al di fuori della rete?

Io personalmente con mia moglie, Alessandra Gigante, produco documentari di storia e arte per la televisione. I nostri documentari sono andati su Rai, La7 e Tv2000 in Italia mentre all’estero abbiamo venduto negli Usa, in Russia, in Polonia, in Francia, in Portogallo, Slovenia e, recentemente, anche in Nuova Zelanda. Al centro dei nostri documentari soprattutto storie, opere e personaggi italiani, di preferenza scelti da quella miniera che sono stati il Medioevo e il Rinascimento. Io ho anche scritto dei libri ma la rivista assorbe molte risorse: ormai siamo al numero 181 – oltre ad una dozzina di numero speciali monografici – e l’obbiettivo è quello di arrivare al n. 200 per poi superarlo.

Qual è il vostro rapporto coi social network? Ce n’è qualcuno che ritenete più adeguato alla vostra attività divulgativa?

Siamo su Facebook e Twitter dal 2010 e ma su Instagram solo dallo scorso anno. Per i documentari abbiamo prima scelto Youtube e poi ci siamo spostati su Vimeo e Dailymotion che ci sembrano, specie il primo, più adatto ai prodotti audiovisivi di qualità. Per la comunicazione dei contenuti devo dire che Facebook e ancora di più Twitter si sono rivelati i più efficaci anche per generare traffico sul sito. Instagram è un po’ più problematico per il nostro tipo di contenuti, specie nelle modalità di aggiornamento e di condivisione. Ma contiamo nei prossimi mesi di intensificare il lavoro proprio su questo fronte perché è un social che non va assolutamente trascurato e grazie al quale contiamo di attrarre nuovi lettori

Che tipo di pubblico vi segue? Avete raccolto dati statistici al riguardo?

In realtà abbiamo più indici convergenti e cioè i dati di chi segue il sito e ci segue sui social ma anche chi acquista libri o pdf dalla nostra libreria virtuale e anche dai lettori della rivista che scrivono, si abbonano o richiedono numeri arretrati in versione cartacea. Tutto converge verso un lettore medio tra i trenta e 55/60 anni, maschio. Molto variegato è invece il profilo sociale: si va dal pensionato all’operaio, dagli studenti ai professionisti. Sono persone a volte con conoscenze e competenze sorprendenti e in più di un caso sono divenuti dei collaboratori fissi. Uno per tutti: un commercialista lombardo, ottima penna e grande esperto di Napoleone. Soprattutto grazie a lui realizzammo uno dei primi speciali, dedicato proprio all’Imperatore. Lo ricordo perché purtroppo non c’è più: si chiamava Armando Russo e se n’è andato a meno di cinquant’anni, all’improvviso. Venirlo a sapere è stato un vero dolore, ci aveva mandato il suo ultimo pezzo pochi giorni prima. C’erano state poche telefonate e molte mail ma certi rapporti su internet nascono così e si creano lo stesso legami forti. Spesso poi i lettori ci chiedono di collaborare e purtroppo non sempre riesco a rispondergli e a coinvolgerli come vorrei. Ma ci vorrebbe uno spiegamento di forze che al momento è impensabile.

Seguite altri siti di divulgazione storica? Se sì, quali?

In realtà non molti perché mi piacerebbe confrontarmi con siti con una forte impronta giornalistica come la nostra ma fatico a trovarne. Seguo i siti di alcune riviste straniere come le francesi Historia e Histoire o il portale “Herodote” oppure il mensile inglese “History Today”. C’è poi un interessante portale americano, frutto della collaborazione tra varie facoltà di storia degli Usa: si chiama “History News Network” e fa una utile rassegna stampa settimanale. Tuttavia ultimamente mi sembra un po’ troppo “coinvolto” dalle questioni razziali e di genere che a mio avviso rappresentano una stortura nella storiografia di questi anni. Comunque le notizie che preferiamo le troviamo per lo più sulla stampa non specialistica a conferma di quello che dicevo prima: c’è molta più storia nella cronaca e nell’attualità di quanto si possa pensare.

Quali caratteristiche ritenete siano peculiari del vostro progetto rispetto ad altri siti di divulgazione?

Ci concentriamo da sempre, specie sulla rivista, sulla rivalutazione della storia italiana. Siamo un popolo di autodenigratori anche perché siamo abbastanza ignoranti e dimentichiamo facilmente uomini e imprese che siamo riusciti a compiere nel corso dei secoli. E invece, se sapessimo o ricordassimo, saremmo più forti anche oggi. Ma credo che questa desertificazione, che parte dalla scuola ma anche dalle famiglie, non è casuale né temporanea. In un recente saggio, il filosofo francese Michel Onfray (“Teoria della Dittatura”, Ponte alle Grazie 2020) indica le sette azioni che, nel mondo di oggi, rivelano i veri pericoli per la libertà e la democrazia che passano sempre per l’appiattimento delle coscienze critiche delle persone. Si va dal “restringimento della libertà” (che sembra quello che stiamo vivendo in questi mesi di pandemia) all’ “impoverimento della lingua” (e anche su questo ci sarebbe da riflettere parecchio, basta guardare certe pubblicità inutilmente in anglo-italiano…), dall’ “abolizione della verità” alla “negazione della natura”, dalla “diffusione dell’odio” all’ “aspirazione all’Impero”. Quello che mi ha più colpito è però il quarto comandamento codificato da Onfray: “Sopprimere la Storia”. Ecco, mi piace pensare che “Storia in Rete” nel suo piccolo sia un antidoto al conformismo, all’uso politico della Storia, a quello che un altro francese che apprezzo molto, Jéan Sevillia, ha chiamato “storicamente corretto”, variante del “politicamente corretto”. Sarebbe bello che anche altre realtà si muovessero in questo senso, al di là degli orientamenti culturali, perché l’annientamento della memoria storica è un dramma a qualsiasi livello. Ecco perché da qualche tempo diamo molto spazio a raccontare a cosa sta portando, in tutto il mondo, l’ondata irrazionale della “Cancel Culture”. E temo che ci terrà occupati anche nei prossimi anni.

Ringraziamo Fabio Andriola e “Storia In Rete” per averci concesso l’intervista, se siete interessati potete seguire questa pagina anche sui principali social:

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