HomeXX secoloLa Grande Guerra e gli attacchi austriaci contro l'arte italiana

La Grande Guerra e gli attacchi austriaci contro l'arte italiana

“L’ira degli eserciti d’Austria contro i monumenti e le opere d’ arte italiane non è cominciata nel 1915 con questa guerra, quando i cannoni della flotta imperiale hanno colpito San Ciriaco d’Ancona e gli idrovolanti hanno bombardato Sant’ Apollinare Nuovo a Ravenna e gli Scalzi a Venezia.
di Valentino Pesci da Il Bo del 23 aprile 2014 Il Bo, il giornale dell'Università degli Studi di Padova
E un’ira tenace che dura da secoli, fatta di invidia e di viltà: invidia di quello che i nemici non hanno, che non potranno mai avere e che è il segno dovunque e sempre riconoscibile della nostra nobiltà, così che ferir l’Italia nei suoi monumenti e nella sua bellezza dà a costoro quasi l’illusione di colpirla sul volto; viltà perché sanno che questa nostra singolare bellezza è fragile e non si può difendere, e percuoterla e ferirla è come percuotere davanti alla madre il suo bambino. Quest’ ira dura da secoli, immutabile, come immutabili sono rimaste, sotto il velo del progresso, le razze e le loro affinità e i loro istinti. Pure non è necessario risalire ad Attila e a Genserico, per ritrovarla. Basta ricordare ai troppi immemori la storia di ieri, e le guerre del nostro ultimo risorgimento”.
Ugo Ojetti, giornalista e critico d’arte, presidente della commissione per la protezione dei monumenti e delle opere d’arte, sfoga così tutto il suo furore – siamo nel luglio 1917 – per i danni inferti al patrimonio artistico italiano dai “nuovi barbari” durante la Grande Guerra. La distruzione di un monumento, di un quadro, di un libro, era per Ojetti l’atto più vile che si possa attuare contro la memoria di una nazione, la sua tradizione, la sua storia.
Gli anni del “martirio dei monumenti” sono stati ricordati da Marta Nezzo dell’università di Padova nell’ambito del primo dei sei appuntamenti organizzati da Comune di Padova, ateneo e Soprintendenza per ricordare il centenario della prima guerra mondiale 1914-18. Ricostruendo scenari e avvenimenti, Marta Nezzo è partita dall’agosto del 1914 quando le truppe tedesche hanno invaso la città di Lovanio, celeberrima per il suo straordinario patrimonio culturale, dandola alle fiamme. Come fosse passato Attila. I suoi tesori d’arte, dall’impareggiabile architettura gotica e la sua famosa biblioteca, vengono ridotti in cenere. Il mondo inorridisce anche per il bombardamento delle cattedrale di Reims, per la distruzione di chiese e monumenti a Soissons, Arras, Ypres. Gli intellettuali fanno appello alla convenzione dell’Aja ( firmata da 48 stati) ma le infamie degli eserciti austro – tedeschi continuano.
E in Italia? Il patrimonio artistico è profanato senza pietà. L’Italia dichiara guerra nel pomeriggio del 23 maggio 1915. La mattina del 24 c’è la prima incursione di idrovolanti su Venezia, ad Ancona sotto i colpi di cannone crolla la chiesa di San Ciriaco, a Ravenna è colpita la chiesa di Sant’Apollinare. I rischi di distruzione moltiplicano gli sforzi per proteggere i monumenti ponendo così un freno alle rovine: si fa ricorso a sacchetti di sabbia, vengono imballati e spediti al sicuro quadri, gli affreschi vengono protetti da materassi. La chiesa di San Marco a Venezia è coperta da barricate di legno così come palazzo Ducale. Il 27 maggio 1915 con 12 ore di continuo lavoro vengono tolti da San Marco i 4 cavalli di bronzo per riporli in luoghi più sicuri, non lontano da Venezia. A Padova il Gattamelata è coperto da una tettoia spiovente (poi sarà smontato e imbarcato per lidi più sicuri) ma è l’intera città che cambia volto. A Verona le tombe degli Scaligeri sono sepolte nella sabbia.
L’opera di Ugo Ojetti è senza sosta. Vara anche un piano in quattro punti a tutela del patrimonio artistico che prevede catalogazioni, ammassamento delle opere trasportabili e dei quadri presso stazioni ferroviarie, vagoni a disposizione per il trasferimento e una classificazione delle opere stesse, nel caso si dovesse forzatamente scegliere quelle da salvare ad ogni costo. Le tele finiscono avvolte in enormi rulli. L’enorme pala dell’Assunta del Tiziano nella chiesa dei Frari rende obbligatoria la realizzazione di una grandissima cassa in legno che viene prima portata in Canal Grande, quindi attraverso il Po arriva a Cremona, da dove viene caricata su un vagone con destinazione Pisa.
Nonostante tutti i provvedimenti adottati, tuttavia, il “martirio dei monumenti” continua. Nella notte fra il 24 e il 25 ottobre una bomba cade sulla chiesa degli Scalzi a Venezia e distrugge tutta la volta dipinta dal Tiepolo. Rappresentava la traslazione della Santa Casa di Loreto. Padova è centrata da 900 bombe. Le 4 bombe cadute vicino alla Cappella degli Scrovegni non provocano danni; affreschi salvi anche alla Scuola del Santo ma i marmi del museo civico sono scheggiati; profanato pesantemente dalle bombe il duomo. Il 29 dicembre 1917 scoppia un furioso incendio che avvolge la cupola della chiesa del Carmine; ferite sono inferte dalle bombe anche al vicino palazzo Maldura; crolla parzialmente il Teatro Verdi che ospita tra l’altro dipinti di Giacomo Casa, danneggiata anche la sala del consiglio comunale.
Il martirio finirà solo con l’armistizio di villa Giusti, a Padova. Al termine del conflitto si aprono i complessi capitoli della restituzione delle opere d’arte e della ricostruzione di quanto era andato perduto.
Ugo Ojetti, sconsolato, chiederà: “Chi ci darà quel che s’è perduto?” E lancia un appello : “Un solo modo ha il nemico per riparare i danni e gli sfregi volontariamente recati. Uno Stato che senta la dignità della sua storia e della sua civiltà, non è, nelle trattative di pace, un mercante che concorre a un’asta pubblica e misura a lire o a corone il suo danno o il suo guadagno. La pittura veneziana si paghi con la pittura veneziana. Tra il Museo imperiale e l’Accademia imperiale, Vienna ha, se ben rammentiamo, 25 quadri di Tiziano e 15 di Jacopo Tintoretto”. Un appello caduto nel vuoto, senza un’ombra di vergogna da parte dei novelli barbari. D’altra parte – osserva Ojetti – cosa c’era da aspettarsi da chi 70 anni prima era entrato a cavallo nel Santuario del Monte Berico, aveva ballato con i paramenti sacri davanti agli altari e tagliuzzato con le baionette un grande quadro di Paolo Veronese?

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