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L’enigma della Maschera di Ferro. Non fantasia, ma storia

Da secoli c’è un mistero che fa arrovellare inutilmente gli studiosi: quello della “Maschera di ferro”. Contrariamente a quanto molti pensano, essa non è un’invenzione letteraria ma è esistita davvero. Analogamente è esistito il celebre D’Artagnan, che entrò di sfuggita nella vicenda. Il famosissimo moschettiere rifiutò infatti d’assumere la custodia della “Maschera”, ottenendo d’essere esaudito da Luigi XIV. Com’è noto, entrambi i personaggi furono resi famosi dal romanzo “Il visconte di Bragelonne”, con cui Alexandre Dumas concluse la sua nota trilogia sui moschettieri del re. Lo scrittore vi sosteneva la tesi d’un gemello del Re Sole, che veniva costretto a portare la maschera in cella per nascondere quell’imbarazzante somiglianza.
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di Gaetano Marabello da Rinascita del 17 Marzo 2012
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Naturalmente il racconto ebbe grandissima fortuna tra il pubblico. Ma non era del tutto nuovo, essendo stato divulgato già nel 1751 da Voltaire in un’appendice al XXV capitolo della sua opera “Il secolo di Luigi XIV”. Il filosofo ne aveva sentito parlare nel periodo del proprio internamento alla Bastiglia, dove l’uomo mascherato era morto il 19 novembre del 1703. Fu appunto Voltaire a ventilare che si trattasse d’un fratellastro del Re Sole, che Anna d’Austria aveva concepito col cardinale Mazzarino .Nel corso dell’Ottocento, Jules Michelet riprese la tesi pur attribuendo il concepimento ad un semplice capitano delle guardie del cardinale. La fortissima somiglianza con il futuro Re Sole avrebbe portato poi l’infelice “frutto della colpa” a finire i suoi giorni con la maschera sul volto. Sbarazziamo subito il campo da queste illazioni, sottese in fondo a screditare la monarchia capetingia. Le regine francesi partorivano davanti all’intera corte. Ergo: la nascita d’un gemello o d’un fratellastro non sarebbe stato un mistero per nessuno. Tanto meno, avrebbe costituito uno scandalo da seppellire a distanza di anni tra le complici pareti d’una cella.

Indubbiamente, c’era sotto un tremendo segreto di Stato, che incredibilmente resiste ancor ai giorni nostri. Inutilmente ci provò a scoprirlo già la principessa Palatina Liselotte von der Pfalz, che era addirittura la cognata di Luigi XIV. Ella, benché fosse nelle grazie del sovrano, in una lettera scritta nel 1711 a pochi anni dalla morte della “Maschera”, fu costretta ad ammettere che non s’era mai potuto sapere chi fosse il detenuto. In verità, c’era un errore di impostazione nei tentativi suoi e di Voltaire di scoprire gli altarini. Entrambi avevano limitato le loro indagini agli ultimi venti anni di vita del detenuto. Ignoravano infatti che, dal 1669 al 1681, il poveretto era stato recluso a Pinerolo. L’imprendibile roccaforte piemontese apparteneva allora alla corona francese. La “Maschera” vi venne condotta da un fedelissimo del re. Trattavasi di un moschettiere della cerchia di D’Artagnan, tal Bénigne Saint-Mars, che divenne governatore della rocca. Da allora sarà lui l’ombra della “Maschera” sino alla fine dei suoi giorni. Anche se generalmente lo si descrive come “violento con i prigionieri”, sta di fatto che nei confronti del misterioso detenuto si comportò sempre con la massima deferenza. Lo si evince dalla circostanza che gli servisse direttamente il pasto. Restava quindi in piedi a testa scoperta e si sedeva solo su invito del recluso. Va detto che al detenuto non veniva fatto mancare assolutamente nulla. Esiste poi un altro particolare intrigante. Tutte le celle in cui la “Maschera” finirà per stazionare (dopo Pinerolo, andrà ad Exilles, a Santa Margherita e alla Bastiglia) venivano ristrutturate, prima del suo arrivo. Le spese erano comunque sempre ingenti. Naturalmente si trattava sempre di prigioni, per quanto dorate fossero. Ben tre porte disposte in sequenza evitavano alle guardie d’ascoltare le parole della”Maschera”, che a sua volta non poteva rivolgersi loro, pena la morte. In 34 anni di segregazione, il poveretto fu ammesso a confidarsi unicamente con il confessore e il suo guardiano Saint-Mars. Persino il medico, quando lo visitava, ne ignorava le fattezze che restavano rigorosamente celate sotto la famosa maschera. Quanto ad essa, contrariamente a quanto può pensarsi, non si trattava in realtà di uno strumento interamente in ferro. La frase di Voltaire, che accennava ad un “sottogola munito di molle d’acciaio”, é stata infatti mal interpretata. Probabilmente, non fosse che per motivi igienici, essa risultava composta di velluto, secondo un’usanza abbastanza ricorrente nella Francia dell’epoca. In più, nel caso dell’illustre prigioniero, vi si ricorreva solo quando necessitava, come nei trasferimenti da una prigione all’altra. Considerate le modalità degli spostamenti, che venivano coperti dalla massima segretezza, pochissimi lo notavano arrivare. Insomma, la presenza dell’imbarazzante recluso doveva passare inosservata il più possibile. E, visto che il mistero tuttora persiste, non può negarsi che tutte le misure adottate siano riuscite efficaci. Soltanto una volta successe che l’ufficiale Blainvillier, cugino del governatore, riuscisse a spiare il recluso. L’imprevisto accadde a Santa Margherita, quando il gentiluomo riuscì a profittare di una finestra che affacciava sulla cella per gettarvi qualche pericolosa sbirciatina. Dalla descrizione, che poi ne lasciò, quello sventurato dalla “alta figura” mostrava i “capelli bianchi”, indossava sempre “biancheria finissima” e “riceve(va) spesso libri”. Al di là di questi pochi dettagli, però, null’altro trapelò mai.
Ma chi era dunque l’infelice ergastolano? Secondo il diario privato di Etienne de Junca, luogotenente reale e carceriere della Bastiglia, “nessuno ne conosce(va) il nome”, anche se era stato registrato sotto quello (falso) di Filbert Gesnon. E dobbiamo sempre al de Iunca l’annotazione che, al momento della morte, gli venne addirittura “assegnato (!) il nome di de Marchiel”. Forse per la sua indiscrezione il luogotenente finirà poi avvelenato, ma quel che qui rileva è che i due nomi sono palesemente apocrifi. E ciò consentirà al cappellano padre Griffet di sostenere che l’anagramma dell’ultimo dei due portasse ad identificarlo con il conte di Vermandois, figlio del re e della sua amante de la Vallière. Qui siamo ormai nel campo delle pure illazioni. Non pretendiamo certo di cimentarci noi con un enigma, attorno al quale si elucubra sin da allora. Ci limiteremo a registrare, tra le tante ipotesi avanzate, quelle che vanno per la maggiore. Esse si appuntano sostanzialmente su due nominativi: il conte Ercole Antonio Mattioli e l’ex sovrintendente Nicolas Fouquet.

Effettivamente, essi erano molto in vista e, perciò, la notorietà delle loro fattezze potrebbe giustificare l’uso forzato della maschera. Mattioli era stato incaricato nel 1679 dal duca di Mantova di trattare segretamente la cessione alla Francia del feudo di Casale. Senonché, l’avventuriero vendette l’informazione al re di Spagna. Tradì così in contemporanea la fiducia del suo signore e quella di Luigi XIV. Attirato in un tranello, fu condotto in Francia, condannato e spedito a Pinerolo. Da allora restò affidato a Saint-Mars. Costui, trascinandoselo sempre dietro nei suoi successivi spostamenti, avvalorerà la tesi che fosse proprio Mattioli la misteriosa “Maschera”. Fouquet, a sua volta, era stato ministro delle finanze ai tempi del cardinale Richelieu. Egli aveva accumulato una fortuna davvero immensa, che lo mise in cattiva luce agli occhi del Re Sole. Odiato anche da Mazzarino e da Colbert, venne arrestato da D’Artagnan e sottoposto quindi a un processo pilotato. Accusato – secondo alcuni autori, ingiustamente – di peculato e lesa maestà, finì ai ferri a vita. Transitò anch’egli da Pinerolo nello stesso periodo in cui vi governava Saint- Mars. A complicare le cose, c’é però la data di morte – almeno quella ufficiale – di entrambi. Essa infatti non combacia affatto con quella della “Maschera”, avvenuta nel 1703. Fouquet morì nel 1680, mentre Mattioli nel 1675. Questo dato farebbe quindi saltare l’identificazione della “Maschera” con uno di costoro. Per superare questo nsormontabile scoglio, più d’uno ha ipotizzato addirittura uno scambio di Fouquet con un prigioniero deceduto, forse un valletto o una spia. Grazie a questo sotterfugio, l’ex ministro avrebbe continuato la sua grama esistenza sotto le mentite spoglie della “Maschera”. Insomma, un vero rompicapo che volentieri lasciamo ad altri. “Si tratta dell’onore di un nostro avo”, sentenziò una volta al riguardo Luigi XVIII. Già, ma a chi e a che cosa intendeva riferirsi mai?

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Inserito su www.storiainrete.com il 27 marzo 2012

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