HomeStoria AnticaLo sterco svela dove Annibale varcò le Alpi

Lo sterco svela dove Annibale varcò le Alpi

La rivelazione di un gruppo internazionale di scienziati: era probabilmente sotto il Monviso il punto dove il condottiero passò con il suo esercito per andare ad attaccare Roma nel 218 a.C.
di Marina Palumbo da La Stampa del 5 aprile 2016 
 
Era il 218 a.C. quando con 30 000 tra fanti e cavalieri, Annibale attraversò le Alpi. Ma tutti si ricordano di aver studiato a scuola quell’episodio storico per via dei 37 elefanti che accompagnavano l’esercito e che Annibale sperava di usare per terrorizzare le italiche genti, che fino a quel punto probabilmente non avevano mai visto un animale così grande, strano e mostruoso.
A distanza di più di 2000 anni, il mistero di come l’armata sia riuscita ad attraversare le Alpi, dopo una marcia di più di 1000 chilometri, potrebbe essere ora svelato – dicono gli esperti – da una scia di sterco.
Gli scienziati sostengono infatti che uno strato di antichi escrementi lasciato dagli animali di Annibale possa rivelare il percorso fatto dal generale cartaginese.
L’esercito arrancò faticosamente nella neve invernale con più di 15 000 muli e cavalli, prima di arrivare in Italia, puntando alle porte dell’antica Roma. Ma, secondo gli esperti, un così grande movimento di uomini ed animali doveva aver lasciato certamente delle tracce. E in un tratto semi-paludoso vicino al Col de la Traversette, uno stretto passaggio tra la Francia e Torino in Italia, pochi chilometri a nord del Monviso, pensano di aver trovato un insolito “lascito”: uno strato di letame nascosto 40 centimetri sotto la superfice.
In un post sul suo blog, Chris Allen, esperto di microbiologia ambientale alla Queen University di Belfast, nell’Irlanda del Nord, scrive: «Usando una combinazione di analisi genetica microbica, chimica ambientale, analisi dei pollini e varie tecniche geofisiche, abbiamo scoperto un deposito di massa di materiale fecale animale – probabilmente di cavallo – in un sito vicino al Col de la Traversette».
 

Il luogo dei ritrovamenti, Col de la Traversette
«Lo sterco, che può essere datato intorno al 200 a.C. attraverso l’analisi con isotopi di carbonio, è stato trovato vicino a quello che doveva essere uno stagno o un laghetto».
«Questo è uno dei pochi punti nell’area adatto ad essere usato per abbeverare un così gran numero di animali. Il sito era originariamente stato scoperto durante le spedizioni geologiche nell’area e corrispondeva alla descrizione del terreno che Annibale aveva dovuto attraversare».
«Oltre il 70% dei microbi nello sterco di cavallo è di un gruppo conosciuto come Clostridia e abbiamo trovato questi microbi in concentrazioni molto alte nel letto di escrementi. Livelli molto più bassi di Clostridia sono stati trovati altrove nella zona. Abbiamo potuto riconoscere che si trattava di questi microbi dopo aver parzialmente sequenziato geneticamente gli organismi. I batteri sono molto stabili nel terreno, sopravvivono per migliaia di anni».
Nel 218 a. C., durante la Seconda Guerra Punica, Annibale partì dalla Spagna, dove i Cartaginesi avevano stabilito la loro presenza militare, con 37 elefanti. Sperando di spaventare i Romani, condusse il suo esercito attraverso le montagne, in modo da sorprendere il nemico arrivando da nord.
Il piano andò storto quando gli elefanti cominciarono a soffrire per una forma d’infiammazione alle zampe, e finirono per morire tutti, tranne uno, a causa del freddo e dell’umidità.
Il team internazionale di scienziati che ha lavorato al progetto spera di trovare anche traccia dei pachidermi. Scrive ancora Allen: «Al momento sto conducendo un ampio programma di analisi microbiologiche per provare ad assemblare un completo genoma dai campioni raccolti. Potremmo essere in grado di trovare anche uova parassita – associate ai microrganismi – ancora conservate in loco come piccole capsule temporali. Con queste informazioni, speriamo di gettare luce sulla presenza di cavalli, uomini e persino dei famosi elefanti di Annibale, nel laghetto, 2 000 anni dopo».
La ricerca è stata pubblicata in due lavori accademici sul giornale Archaeometry.
 

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