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Mayerling, nuove ipotesi su Rodolfo vittima di un complotto reazionario

Mayerling: nome che nei più evoca il romanzo d’appendice, non il delitto di Stato. E infatti il presunto suicidio di Rodolfo d’Asburgo, principe ereditario al trono d’Austria-Ungheria, ritrovato al fianco della giovanissima baronessa Maria Vetsera in una tenuta di caccia a pochi chilometri da Vienna, pare un melodramma concepito a beneficio di compositori e registi. Invece è un episodio storico centrale di fine Ottocento, uno di quelli destinati a influenzare la modernità.

di Dario Fertilio dal Corriere della Sera del 6 gennaio 2014 Corriere della Sera

Quel giorno, il 30 gennaio 1889, il mondo, o almeno l’Europa, imboccò infatti una strada senza ritorno: la morte di Rodolfo tolse di mezzo un credibile riformatore dell’impero austroungarico, in grado forse di evitarne la rovina e risparmiare così molti lutti ai suoi numerosi popoli. E non siamo di fronte a uno dei tanti esempi possibili di storia fatta con i «se», giacché la fine violenta del principe fu certamente pianificata e attuata freddamente, facendo in modo da mascherarla come suicidio. Le nebbie persistenti delle ipotesi e del dubbio riguardano non tanto la visione politica del principe ereditario, i modi e l’abilità con la quale Rodolfo avrebbe cercato di modernizzare l’impero accrescendo al suo interno il peso della componente slava, quanto le circostanze materiali del delitto e l’identità, oltre agli obiettivi, di esecutori e mandanti. Una nuova interpretazione, molto ricca di suggestioni, ci viene ora suggerita da un saggio scritto a quattro mani: autori, il giornalista triestino Fabio Amodeo e il ricercatore argentino Mario José Cereghino. Nel loro Mayerling, anatomia di un omicidio, (Mgs Press) la tesi è enunciata sin dal titolo: non si trattò di una fuga d’amore ma di una vicenda in cui il sesso tra Rodolfo e Maria fu puro elemento secondario; in realtà, il principe stava fuggendo all’estero, inseguito dai suoi nemici interni e disperato per essere stato di fatto diseredato dal padre, l’imperatore Francesco Giuseppe. Mayerling sarebbe stata dunque soltanto la prima tappa del viaggio verso l’esilio, e la baronessa Vetsera niente più di una delle numerose amanti da lui frequentate nel corso di un’esistenza dagli umori altalenanti e febbrili.

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Chi c’era dunque sulle sue tracce? Nemmeno gli studi puntigliosi di Amodeo e Cereghino sono in grado di stabilirlo con certezza: ma tutto lascia credere che la responsabilità debba cadere sui circoli reazionari austriaci, fatti di gente altolocata e timorosa di perdere i propri privilegi con l’ascesa al trono di Rodolfo. Di qui una campagna diffamatoria tesa a presentarlo prima come dissoluto, poi come legato a circoli massonici ed ebraici, infine come emotivamente instabile. Tutti i dettagli del quadro portano insomma alla conclusione della morte violenta: un agguato in piena regola messo in atto da sicari con licenza di uccidere. La tesi sostenuta dal grande storico François Fejtö, convinto della colpevolezza della Germania del Kaiser Guglielmo II, nemico giurato di Rodolfo, è probabilmente complementare a quella di questo libro. E in ogni caso autorizza a collocare Mayerling nella categoria dei delitti di Stato avvolti nel mistero: «come l’assassinio di Kennedy, piazza Fontana, il delitto Moro».

 

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