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La Locanda di Granito

PCI 1921-’21. Perché non abbiamo bisogno di una Norimberga per il Comunismo

Cento anni fa nasceva il Partito Comunista Italiano. Lo ricordano non tantissimi, e fra questi soprattutto i nostalgici (pochi) e gli anticomunisti (un po’ più numerosi). Imbarazzato silenzio da parte degli eredi (degeneri) e degli ex compagni di merende, che invece preferiscono pascersi nel nuovo progressismo arcobalenoso dell’era Biden, che ha sostituito l’intersezionalismo all’internazionalismo.

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L’articolo di Francesco Giubilei da “Il Giornale” del 21 gennaio 2021

La memoria divisa di chi è pro e di chi è contro è ovviamente di segno totalmente opposto. In questo panorama si fa notare – tanto per il rilievo di spazi e di grafiche – l’intervento dell’amico Francesco Giubilei oggi su “Il Giornale”, che lancia una proposta: aderire alla mozione europea contro ogni totalistarismo. Della “mozione” in questione se n’è parlato su “Storia in Rete” già tempo fa.

Timeo Europaeos et dona ferentes

Quello che ci preme è ricordare che quella mozione è l’ennesimo cavallo di Troia. Un cavallo di Troia piazzato sotto le mura delle nostre ultime ridotte proprio da quella stessa minaccia che lo stesso Giubilei con lucidità identifica come degno successore del Comunismo: il globalismo nemico d’ogni identità.

A leggerla bene, infatti, la risoluzione europea è un inquietante miscela di bispensiero orwelliano: pensiero unico ma antitotalitarismo; inni alla “libertà” ma condanna del revisionismo storico; necessità della memoria e “preoccupazione” per la permanenza delle vestigia storiche dei regimi totalitari. Un nemmeno troppo velato incitamento alla cancel culture.

Il Comunismo, con tutto ciò che ha comportato, è stato protagonista indiscusso del XX secolo. Ha riempito il mondo di fosse comuni ma ha dato alle masse oppresse (oggettivamente oppresse) un ideale per combattere e cercare il riscatto. Ha distrutto ma ha anche edificato. Decine di migliaia delle menti più brillanti del XX secolo hanno dato il loro contributo al Comunismo, ma hanno anche potuto brillare grazie al Comunismo. Certamente altrettante sono state silenziate nelle maniere più brutali. Ma questo non toglie nulla, come il rogo di Giordano Bruno non leva nulla alla grandezza monumentale della cupola di Michelangelo o alla teologia rigorosa del Concilio di Trento. Sono partite separate. Non chiediamo la messa fuori legge della Chiesa Cattolica o l’abbattimento delle cattedrali per il rogo di Giordano Bruno. E menomale.

“Che fare?”

Il centenario del PCI dovrebbe essere dunque un’occasione per ragionare su questo Giano bifronte che è la storia dell’umanità, dove il lato luminoso e glorioso s’accompagna sempre e comunque con uno oscuro e vergognoso. Non è certo la nostra era, dal basso della propria umiliante mediocrità in ogni campo dell’agire umano che può permettersi di elargire giudizi inappellabili. Le grandi ere del passato, invece, hanno avuto come segno di distinzione sempre e comunque una magnanimità di giudizio verso il nemico: i Romani hanno perfino edificato statue al loro arcinemico, Annibale, piombato in Italia per sterminarli. I Greci hanno celebrato gli sconfitti Persiani nelle loro tragedie.

Non è il luogo, questo blog, per discutere anche delle implicazioni pratiche del moltiplicarsi dei reati d’opinione in Occidente. Un moltiplicarsi pericoloso e sicuramente mortale – alla fine – anche per coloro che se ne credono al sicuro invocandoli per la parte avversa. “A forza di fare il puro poi arriva qualcuno più puro che ti epura” diceva – sembra – Nenni.

Dobbiamo dunque salvare noi stessi dalle insidie della cancel culture. Il Comunismo va analizzato e sviscerato nei campi che lo pertengono: in politica avversando le sue idee e opponendogli ciascuno le proprie; in storia revisionandone di continuo la complessa vicenda, senza consentire al proprio giudizio etico di interferire col freddo resoconto dei fatti. I tribunali s’occupino di furti in casa, spaccio di droga e cause per diffamazione (possibilmente senza “creatività” nelle sentenze…), lascino stare la storia agli storici e la politica ai politici.

Due errori non fanno una cosa giusta

Alla fine della Seconda guerra mondiale gli sconfitti sono stati processati e condannati. Si dirà: la “giustizia” dei vincitori è una giustizia fra virgolette. Ha tuttavia un’attenuante: è avvenuta a sangue caldo, dopo una guerra spaventosa appena finita. Come ogni passaggio storico traumatico, esso si concretizza anche in inevitabili azioni iconoclaste. Ben diverso è fare processi alla storia (e peggio ancora all’arte…) a sangue freddo, a distanza di decenni. Quel che sta avvenendo con l’isteria collettiva della cancel culture in mezzo mondo e – Dio ce ne scampi e liberi – in Italia ancora non ha attecchito molto.

Evitare che questo morbo mentale possa arrivare anche da noi dovrebbe essere in questo momento in cima all’agenda politica d’ogni persona ragionevole e non complice del globalismo. Non c’è crisi economica e “sanitaria” che possa reggere il confronto coi danni mostruosi che potrebbero derivare dall’arrivo della cancel culture anche in Italia. Danni irreversibili in grado di cancellare l’Italia stessa. Qualunque crisi è reversibile: le devastazioni lasciate dai pazzi iconoclasti – come abbiamo visto nella Siria martirizzata dall’ISIS – sono irrecuperabili e passeremo i prossimi secoli a piangere sulle macerie. Mille volte meglio tenersi stretta l’intitolazione a Palmiro Togliatti della più lunga strada di Roma che rischiare di perdere la Fontana dei Mori di Livorno perché qualche imbecille la ritiene “colonialista” e “schiavista” per una sete di giustizia degna di miglior causa.

Nessuno tocchi Prokofiev

I pazzi da catena della cancel culture mettono sotto attacco perfino il cinema pop-corn degli anni Ottanta. Quanto ci vorrà perché arrivino a boicottare un musicista come Prokofiev perché le sue opere furono la celebrazione di Stalin? D’altronde, con il “nazista” Carl Orff questo già sta accadendo

In Ucraina il governo filo-obamiano nato dalla “rivoluzione colorata” sorosiana ha distrutto oltre un migliaio di monumenti a Lenin e alla Rivoluzione d’Ottobre in tutto il paese. Una strage innominabile di opere d’arte che non ha risparmiato nemmeno i monumenti all’Armata Rossa e alla Grande Guerra Patriottica, come da loro si chiama la guerra sul Fronte Orientale fra URSS e Asse. In Polonia, dove pure c’è un governo conservatore che vuole far argine ai mostri del globalismo, perfino i cimiteri di guerra sovietici rischiano la cancel culture. Una macchia, perché la pietas verso i morti non dovrebbe mai essere messa in discussione…

Chi sostiene la cancel culture è disponibilissimo a sacrificare i suoi mostri sacri pur di fare un danno all’avversario. Quella gente in cambio della distruzione dei monumenti “politicamente scorretti” sono perfettamente in grado di far fuori ogni viale Togliatti d’Italia, ogni onorificenza a Tito, perfino il rosso dell’ANPI, se fosse necessario.

“I morti non mordono”

Il Comunismo è morto. Non perché ci sia stata la Fine della Storia vagheggiata dal povero Fukuyama, ma perché sono cambiate radicalmente le condizioni sociali in cui esso s’era sviluppato. In questo senso, l’assunto marxista secondo cui è la struttura che determina la sovrastruttura è perfetto per stilare il certificato di morte di questa ideologia. La struttura non vede più la dialettica fra proletari e borghesi cara al marxismo. Al contrario oggi viviamo nell’epoca dello sfruttamento dei produttori da parte dei ceti parassitari, una dialettica perfettamente inter-classista (al lettore l’incombenza di vedere chi nel passato aveva già constatato questa realtà before it was mainstream).

E se è vero che i morti non mordono, è altrettanto vero la minaccia più grave alla nostra civiltà oggi viene proprio dal figlio degenere del Comunismo: il “Marxismo Culturale“, l’ideologia ufficiale della Casa Bianca dalla giornata di ieri. La cancel culture è una delle principali frecce all’arco di quell’ideologia. Anche solo per questo vale la pena di spezzare una lancia a favore del veterocomunismo: ebbene sì, anche il Comunismo ha fatto cose buone! Datemi mille culti della personalità di Stalin che una sola paginata-marchetta su Kamala Harris come quelle che stanno fioccando sui quotidiani liberal italiani.

Dalla prima parte abbiamo avuto gente del calibro di Gramsci, Moravia, Pasolini, Guttuso, Villari (i primissimi che vengono alla mente). Dalla seconda parte, fate voi.

Evitiamo d’essere così ansiosi di distribuire torti e ragioni. La lotta non può essere condotta usando l’Anello, perché l’Anello poi userà te. Rifuggiamo da ogni ipotesi di avvelenare i pozzi, anche se il nemico lo fa continuamente. E prima di giudicare il Comunismo guardiamo e riguardiamo mille volte il finale del Dottor Zhivago, con l’orfana della Rivoluzione d’Ottobre che indica con orgoglio la gigantesca diga intitolata a Stalin dove lavora il suo fidanzato.

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