HomeIn primo pianoPerché il 4 novembre? Per ritrovare la forza dei nostri nonni

Perché il 4 novembre? Per ritrovare la forza dei nostri nonni

Oggi il presidente Napolitano consegnerà la medaglia d’oro al valor militare ad Andrea Adorno, alpino di Catania, ferito in combattimento sulle montagne dell’Afghanistan. Una cerimonia che in altre democrazie sarebbe routine; ma non in Italia. È la prima volta che si tiene al Vittoriano. È la prima volta che il soldato insignito non è un ufficiale, ed è vivo. In altri tempi, l’alpino siciliano sarebbe parso un ossimoro. Oggi l’esercito ha riconquistato prestigio, grazie ai militari in missione di pace nei territori più difficili del pianeta. E grazie anche al nostro legame con la storia e l’identità italiana, che si sta rivelando più forte di quanto pensassimo.

di Aldo Cazzullo dal Corriere della Sera del 4 novembre 2014 

copertina Guerra nostri nonni-Cazzullo
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Quest’anno l’Europa ha celebrato i cent’anni della Grande guerra. Il 4 novembre, anniversario della vittoria, chiama in causa l’Italia, che il prossimo 24 maggio ricorderà l’ingresso nel conflitto. Fu l’inizio di un calvario, dagli assalti sconsiderati alle decimazioni, che costò sofferenze terribili. Davanti ai centomila morti di Redipuglia, papa Francesco ha già avuto parole di condanna per tutte le guerre; e sarebbe giusto che lo Stato italiano, unico a non aver riabilitato i fanti fucilati per volontà di una casta militare sprezzante delle vite umane, trovasse parole di pietà per tutte le vittime. Nello stesso tempo, non è inutile ricordare che quella guerra l’Italia la vinse. Poteva essere spazzata via; invece superò la prima prova della sua storia unitaria. E dimostrò di non essere più un nome geografico, come la volevano gli austriaci, ma una nazione.
Ogni paragone con il passato è fuorviante: il Paese che oggi si allarma per Ebola non è lo stesso che seppellì 350 mila morti di febbre spagnola in un mese. Ma ogni generazione ha la sua guerra da combattere. Quella contro la crisi è lontana dall’essere vinta. Siccome la capacità di resistenza e la forza morale che i nostri antenati dimostrarono cent’anni fa non possono essere andate disperse nel tempo, sta a noi ritrovarle dentro noi stessi e riaccenderle dentro i nostri figli. Questo vale per gli uomini e a maggior ragione per le donne, che un secolo fa dimostrarono di saper prendere il posto dei mariti, nelle campagne, nelle fabbriche, nelle università.
Oggi i fanti non ci sono più. La memoria è un dovere nei confronti dei nostri padri, e ancor più nei confronti dei 650 mila ragazzi che padri non sono diventati. La riscoperta dei simboli dell’unità può essere retorica, quindi inutile, e consolatoria, quindi controproducente. Ma si rivela utilissima, quando sentiamo che la vicenda nazionale incrocia quella delle nostre famiglie. È di noi, come sempre, che parla la storia.

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