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Seconda guerra mondiale: ancora 25 mila le bombe inesplose

di Claudia Osmetti da Libero quotidiano del 20 settembre 2021

La Seconda Guerra Mondiale non è mai finita. Non in Italia. Tranquilli: non è il solito articolo sui neofascisti o i post-partigiani, non c’entrano niente. C’entrano, semmai, le circa 25mila bombe inesplose che, da Nord a Sud, ci ritroviamo sotto al sedere. Gli artificieri dell’Esercito ne fanno brillare quasi otto al giorno, ma di questo passo serviranno almeno altri otto anni per bonificare il bonificabile. 

Così, succede che, alle volte, ne venga rinvenuta una: un po’ per caso, un po’ per fortuna, un po’ perché la si è andata a cercare. È un lavoro duro, quello dei nostri militari. Instancabili, rischiano la pelle ogni a ogni operazione: e la maggior parte di loro non era neanche nata, quando il conflitto planetario ci sganciava sulla testa più di 378mila tonnellate di esplosivo, trasportate dall’aviazione straniera, inglese e americana su tutte. (Parentesi: il 10% non ha mai detonato. Vuoi per qualche difetto di fabbricazione, vuoi per il meteo o per le condizioni ambientali che non han funzionato: fatto sta che è ancora lì, dove è stato lanciato, pronto a far danni).

A Monterotondo, area metropolitana di Roma, domenica son stati evacuati in 3mila: l’ordigno di turno pesava 500 libbre, cioè circa 227 chilogrammi. E’ venuto alla luce l’8 settembre (curiosa coincidenza), mentre erano in corso alcuni lavori nella zona industriale della cittadina. Non ci hanno impiegato molto ad arrivare, gli uomini del VI reggimento Genio Pionieri della Capitale: per disinnescare la bomba han impiegato quasi tre ore. 

Han anche allestito una zona rossa, tutta transenne e posti di blocco: con utenze staccate e divieto di sorvolo dell’area per il tempo necessario. Durante il disinnesco, han sospeso persino le vaccinazioni nell’hub locale: la prudenza non è mai troppa, meglio prevenire qualsiasi grana. Per far le cose a puntino, poi, i volontari e la Protezione Civile hanno allestito una tecnostruttura per accogliere i residenti e il Comune ha istituito un numero verde. E’ andato tutto per il meglio, a emergenza finita è suonata pure la sirena: pericolo scampato. 

Domenica prossima, invece, tocca a Sasso Marconi, nel Bolognese: il copione è identico. Venti famiglie da evacuare (la campagna, da quelle parti, è meno popolosa), blocco totale della circolazione, chiusa anche l’autostrada A1 e la linea ferroviaria Bologna-Porretta. A Segrate, a due passi da Milano, il “bomba-day” doveva essere sabato scorso, il 18 settembre: ma mentre predisponevano i presidi per far brillare, in sicurezza, un ordigno del 1945, i professionisti in tuta mimetica dell’Esercito ne han trovato un altro e la prefettura della Madonnina ha deciso di andarci cauta e di rinviare le operazioni. 

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Non son cose che s’ improvvisano. Calpestiamo un campo minato, letteralmente. In provincia di Terni, a fine agosto, le persone evacuate per un fatto simile sono state 4mila: è stato impiegato an che un robot manovrato da remoto, successivamente l’ordigno è stato trasportato in una cava dismessa e, finalmente, senza rischi, è esploso. Però la lista è lunga: 3mila cittadini evacuati a Verona per un disinnesco (fine luglio); 6mila a Casalecchio, vicino a Bologna, per lo stesso motivo (giugno); 2mila ad Avellino, idem (il 25 luglio). 

Dal Lazio all’Abruzzo, dal Molise al Friuli. Nelle grandi città, apricielo: ché i bombardamenti di Milano, Napoli, Roma o Torino li abbiamo letti tutti sui libri di storia. Solo che non pensavamo, ottant’ anni dopo, di doverci avere ancora a che fare. E, in qualche occasione, ci scappa pure il ferito: fortunatamente, va detto, la stragrande maggioranza di questi dispositivi non miete vittime, ma tenere gli occhi aperti è sempre una buona idea.

Ché non son nemmeno giocattoli. Gli esperti addestrati dal Centro di Eccellenza dell’Esercito sono circa cento e il costo medio di un’operazione (che resta sempre complessa) è di circa 20mila euro. A Livorno, nel maggio passato, un ordigno della Seconda guerra mondiale è stato scoperto da un paio di bambini che stavano scavando una buca in giardino col nonno: tanto per dire.

Nota redazionale: “Storia in Rete” dal primo numero ospita la rubrica “C’è una bomba in città” sulle continue operazioni di disinnesco che interessano ogni città d’Italia da anni.

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