HomeIn primo pianoStoria della bufala. Dai giornaloni al DDL Gambaro

Storia della bufala. Dai giornaloni al DDL Gambaro

La più grossa balla spaziale attualmente sul mercato è questa: il tentativo di far credere che esistano delle balle spaziali, dette fake news, che infettano la vera informazione e stravolgono la verità delle cose. Adele Gambaro, la senatrice ex M5s, ora verdiniana, l’onorevole Riccardo Mazzoni, giornalista, anche lui guarda caso verdiniano, e gli altri firmatari del disegno di legge che cerca di imbavagliare la Rete, o fanno finta di non capirlo, oppure provengono direttamente dalla luna.
Francesco Agnoli da La Verità - Quotidiano indipendente diretto da Maurizio Belpietro del 6 marzo 201
Dicono infatti, costoro, di voler introdurre pene draconiane per chi diffonde menzogne via Internet, e sostengono di farlo per tutelare la verità e i cittadini, quando è proprio per cercare le verità nascoste e occultate, e per il loro diritto di cittadini di conoscere davvero, che le persone cercano da tempo, sulla Rete, fonti diverse da quelle ufficiali. Fonti che non siano, come quest’ ultime, produttrici a getto continuo di menzogne e di bufale.
Sulla Rete girano notizie fasulle? Certamente. Ma chi ha diritto di stabilire che cosa si possa dire e che cosa no? Perché sottoporre la Rete al bavaglio, a leggi diverse da quelle che già ci sono contro diffamazione e calunnia?
Sulla Rete, questa è la verità, accanto alle fake news ci sono voci alternative, spesso molto autorevoli (penso ai blog di Marcello Foa e Fulvio Scaglione, a quotidiani online come La nuova bussola quotidiana e L’ Occidentale), che fanno un giornalismo spesso molto più serio di quello di regime. Ai censori, spaventati dal fatto che la Rete rende più democratici pubblicazione e accesso alle notizie, bisognerebbe ricordare che da almeno vent’ anni, per non andare troppo indietro, le fake news più incredibili, gli «allarmi infondati» più assurdi (per utilizzare le stesse parole del disegno di legge repressivo), ce le propinano proprio le fonti più «autorevoli»: i governi, le televisioni di stato, i grandi giornali.
Qualche esempio? Molti ricorderanno la prima guerra del Golfo, cui il giornalista Renato Farina, sul Sabato del 23 marzo 1991 dedicò un articolo significativamente intitolato De bello ballico. Allora il governo Usa, e di rimando tutti i grandi media occidentali, in coro, ci raccontarono che Saddam Hussein guidava il «quarto esercito del mondo»; che possedeva «depositi di armi chimiche» e di armi «di distruzione di massa» che avrebbero messo in pericolo Europa e Stati Uniti. Per mesi fummo bombardati da una propaganda assolutamente falsa, mentre le voci alternative e critiche non trovavano spazio, essendo la Rete, all’ epoca, affare di pochissimi.

Lunga notte informazione
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Durante quella guerra, le televisioni ci fecero vedere telegiornali in cui scene del film Top gun di Tom Cruise venivano spacciate per immagini della guerra in corso; un cormorano ricoperto di petrolio fece il giro del mondo per simboleggiare il disastro ambientale provocato dal perfido Saddam, ma si trattava di un’ immagine risalente a un’ altra guerra, quella tra Iran e Iraq, di circa dieci anni prima.
E la seconda guerra in Iraq?
Il 5 febbraio 2003 l’ allora segretario di Stato degli Usa, Colin Powell, tenne un discorso al Consiglio di sicurezza delle Nazioni unite in cui parlò di fantomatiche armi batteriologiche in possesso dell’ Iraq. Con grande enfasi mostrò ai rappresentanti degli altri Paesi una fiala che conteneva una polvere bianca, l’ antrace, e spiegò che Saddam avrebbe potuto produrre e usare contro l’ Occidente quantità enormi di quella polvere micidiale. Per giorni e giorni i media diffusero e amplificarono l’ immensa bufala di Powell, creando una vera e propria psicosi e aiutando così a legittimare una seconda guerra in Iraq.
Anche allora moltissime persone si resero conto che ci stavano mentendo, e con ben poca fantasia: riciclando cioè accuse vecchie e screditate. Ma anche nel 2003 la Rete non aveva ancora la forza di oggi, e le voci critiche rimanevano isolate, fioche. Tanto che nel 2013 Obama ci ha provato di nuovo, paventando un suo necessario intervento in Siria, causa le presunte armi chimiche di Assad.
«Dittatore, dittatore! Armi chimiche, armi di distruzione di massa! Guerra umanitaria, esportazione della democrazia!». Con questi slogan e queste bufale atomiche si è incendiato il mondo, facendo seguire una guerra all’ altra (Iraq, Afghanistan, Libia, Siria, eccetera), una pseudo rivoluzione popolare all’ altra (rivoluzione arancioni, presunte primavere arabe).
torture nella prigione siriana
Ma la misura è colma, e la gente non se la beve più; non crede più a coloro che, come Hillary Clinton, annunciano: «Senza di me l’ apocalisse». Non obbedisce più agli allarmisti di professione che dai pulpiti ufficiali prevedono, in caso di Brexit, il diluvio universale, o, in caso di sconfitta renziana al referendum, lo sprofondamento dell’ Italia nel Mediterraneo. I media ufficiali vanno da una parte, in massa, e la gente va dall’ altra: si informa sulla Rete o su giornali corsari e alternativi come quello che state leggendo.
«Porca miseria», si sono detti i potenti del mondo, «qua la gente in Rete si informa, discute, si confronta, ascolta voci libere… Non possiamo più permetterlo!»: con una sola voce Google, Facebook e molti politici, in vari Paesi, hanno iniziato a rivendicare le ragioni della Verità. Quella assoluta, posseduta (solo) da loro.
Che da noi a farlo siano un’ ex aderente M5s, che ha fatto della Rete addirittura un luogo di salvezza, e un ex giornalista che sta nel gruppo-bufala di Denis Verdini, rende la faccenda ancora più grottesca. Marcello Foa, autore di un libro magistrale sulla falsificazione mediatica, Gli stregoni della notizia (Guerini), notava in questi giorni che Mussolini giustificò la censura con lo stesso linguaggio utilizzato oggi nel ddl Gambaro. Mussolini che, aggiungo io, era stato un giornalista a favore della più ampia libertà di stampa e di parola, quando doveva combattere il potere avverso, per divenire poi un fan della censura, quando dovette difendere il suo stesso potere.

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