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Mattei, parabola di un grande manager italiano

Il 27 ottobre del 1962 morì in un misterioso incidente aereo a Bascapé, in provincia di Pavia, Enrico Mattei, fondatore e presidente dell’ENI. Le cause dello schianto non furono mai chiarite e in molti ipotizzano ancora oggi che a bordo ci fosse una bomba. Secondo la teoria del complotto, i mandanti dell’attentato furono le Sette Sorelle, le sette grandi società petrolifere anglo-americane dell’epoca. L’ipotesi del complotto internazionale deriva dalla storia e dall’attività di Mattei, che trasformò un vecchio ente fascista nella moderna ENI e la portò a competere in Italia e sui mercati internazionali.

di Davide Maria De Luca da Il Post del 27 ottobre 2012 Il Post

La carriera
Enrico Mattei nacque ad Acqualagna, in quella che è ora la provincia di Pesaro-Urbino. Figlio di un maresciallo dei carabinieri in pensione, a vent’anni, non ancora laureato, era già diventato direttore della conceria Fiore di Matelica. A 28 anni, nel 1934, fondò la sua prima impresa, una piccola azienda chimica che all’inizio aveva solo due operai. Mattei fu iscritto al partito fascista, ma non fu mai molto attivo. Nella sua Storia d’Italia Montanelli smentisce alcune delle insinuazioni che erano state fatte negli anni ’50 sul Mattei fascista, ma scriveva anche che «l’ambizione di questo self-made man lo portava senza scampo ad alcune compromissioni con il regime al potere».
Quello che è certo è che dopo il 1943 Mattei fu un partigiano e scalò molto in fretta le gerarchie della Resistenza. Divenne in poco tempo uno dei capitani generali delle formazioni partigiane vicine alla Democrazia Cristiana e il rappresentante della DC presso il CLN-AI (Comitato di liberazione nazionale Alta Italia, il coordinamento dei partigiani che poi divenne una sorta di governo provvisorio dell’Italia del nord appena liberata). Per il suo servizio partigiano gli venne conferita dal generale Mark Clark la Bronze Star, quarta decorazione in ordine di importanza dell’esercito americano.
Quasi tutti i dirigenti della Resistenza, finita la guerra, furono ricompensati dai loro partiti con un posto in parlamento, in un’amministrazione locale o in un ente pubblico. In questa assegnazione Mattei non fu molto fortunato: venne nominato commissario dell’Agenzia generale italiana petroli (AGIP), un vecchio carrozzone di epoca fascista che possedeva una manciata di concessioni per esplorazioni petrolifere che non avevano fruttato niente sia in Italia che all’estero. Persino durante il fascismo era ritenuto un ente inutile, tanto da aver ricevuto il soprannome “Agenzia gerarchi in pensione”.
L’ordine che il commissario Mattei aveva ricevuto era quella di liquidare l’AGIP, cioè venderne le strutture e le concessioni al miglior offerente liberando lo stato da un peso inutile. Mattei non lo fece: a quanto pare alcune esplorazioni sismiche compiute durante la guerra avevano lasciato il sospetto che in alcune zone della Lombardia potessero esserci giacimenti di gas o petrolio. Era abbastanza per solleticare la fantasia di Mattei che dal 1945 al 1948 non fece altro che battersi per cercare di tenere in vita l’AGIP.
Ebbe successo: nel 1948 finì l’epoca del commissariamento e Mattei venne nominato vice-presidente dell’AGIP. Scrisse Montanelli, sempre nella Storia d’Italia, che uno dei segreti di Mattei nel convincere le persone era che prima di tutti sembrava estremamente convinto lui stesso: «Uno degli autori di questo libro, che a Mattei parlò un paio di volte, in ambedue le occasioni si sentì a disagio per il fatto di non riuscire a condividere certe sue opinioni. Ne provò una specie di rimorso». Ma oltre alle sue capacità, Mattei aveva anche delle ottime alleanze all’interno della DC.
Le esplorazioni intanto rivelarono che nel sottosuolo del lodigiano non c’era petrolio (se non pochissimo, a Cortemaggiore in provincia di Piacenza), ma c’era il metano e sembrava che ce ne fosse moltissimo. Per Mattei e per l’AGIP fu un successo: non solo avevano trovato una fonte energetica a basso costo, ma ora quelle fonti energetiche si trovavano nelle mani “sicure” di un ente pubblico italiano e non un privato inglese o americano. Grazie a questi successi, Mattei riuscì a far istituire l’Ente Nazionale Idrocarburi, di cui l’AGIP sarà una delle colonne portanti. Era il 1953 e nasceva l’ENI.

L’Italia di quegli anni
Non si può capire chi era Mattei e cosa fece se non si tiene presente che cos’era l’Italia in quegli anni. Quando venne creata l’ENI circa il 50% dei lavoratori italiani – poco meno di 10 milioni di persone – era impiegato nell’agricoltura. Non c’erano infrastrutture e le poche che erano state costruite prima della guerra erano state distrutte o bombardate.
Enrico Mattei faceva parte di una particolare generazione di manager pubblici (cioè alla testa di imprese di proprietà dello stato) che tra la fine della seconda guerra mondiale e i primi anni ’60 dettero con le loro imprese un contributo fondamentale a cambiare questa situazione e a rendere l’Italia un paese moderno e industrializzato. Mattei fu il simbolo di questa generazione (Oscar Sinigaglia fu una figura simile nel campo della siderurgia) dalle caratteristiche molto particolari.
Il problema delle industrie pubbliche è che il loro proprietario, cioè il controllore che deve assicurarsi che i manager facciano i suoi interessi, è l’intera popolazione, che esercita il suo controllo tramite la mediazione della politica. Questo controllo non è molto efficace e le imprese pubbliche vengono spesso utilizzate per fare gli interessi più della politica che della popolazione.
In un certo senso fu un caso, dovuto alla guerra, all’impulso morale della Resistenza e alla voglia di ricostruire, a far sì che i manager come Mattei non solo fecero il loro lavoro, ma lo fecero bene. Quando la generazione di Mattei scomparve, i partiti e la politica scelsero per sostituirli manager di calibro ben diverso, l’industria pubblica perse competitività ed efficienza, creando tutte quelle storture (le famose cattedrali nel deserto) di cui è piena la storia degli anni ’60 e ’70.

L’ENI
Mattei dimostrò quanto fosse facile per un manager di un’impresa pubblica liberarsi anche del tenue controllo a cui lo sottoponevano i politici. Come diceva lui stesso: «Uso i partiti politici come un taxi», nel senso che usava un partito per uno scopo, pagava la “corsa” e poi ne sceglieva un altro. Il denaro con cui poteva permettersi tutti questi passaggi derivava dalle rendite di cui l’ENI godeva grazie al monopolio sul metano e sul petrolio della pianura padana. Rendite con le quali aveva costruito enormi fondi neri.
Comprata l’acquiescenza dei politici, Mattei procedeva a modernizzare l’Italia rapidamente e con poca democrazia. Ci sono parecchi racconti di piccoli paesi che si svegliarono una mattina trovando i campi sventrati dagli operai ENI che avevano scavato i canali dove impiantare i metanodotti. All’epoca non c’era nemmeno il tempo di organizzare un comitato civico per fermare i lavori. Mattei collegò tutta l’Italia con i suoi gasdotti, distribuì quasi ovunque i benzinai AGIP e impiantò i primi grandi poli petrolchimici, come quello di Ravenna.
Sotto Mattei, l’ENI operò anche all’estero, dove entrò in competizione con le grandi multinazionali del petrolio anglo-americane che allora dominavano il mercato. Mattei strinse rapporti con il Marocco, la Libia, la Giordania e l’Algeria, che si stava rendendo indipendente dalla Francia. Oltre agli oleodotti e alle concessioni per l’esplorazione petrolifera, Mattei fece anche altro.
Si imbarcò in alcuni progetti che con l’attività dell’ENI non avevano niente a che fare. Come ad esempio un timido tentativo di organizzare un matrimonio tra lo Scià di Persia e Maria Gabriella di Savoia. Si inserì attivamente nella lotta d’indipendenza algerina, dichiarando che non avrebbe acquistato concessioni petrolifere nel paese se non avesse raggiunto l’indipendenza, ricevendo così una minaccia di morte da parte dell’OAS, un’organizzazione terroristica favorevole al dominio francese sull’Algeria. Sempre in quegli anni si fece convincere da alcuni politici, come il sindaco DC di Firenze Giorgio la Pira, ad operare alcuni salvataggi di imprese in difficoltà, entrando così nel settore chimico e in quello meccanico.
Uno di questi progetti fu anche la fondazione del quotidiano Il Giorno, creato con i soldi dell’ENI e per supportarne le battaglie politiche. Il Giorno era un’impresa che non c’entrava nulla con il core business dell’ENI, distolse energie e denaro dalla missione principale della società, ma fu anche uno dei giornali più moderni del paese e contribuì a cambiare il mondo della stampa italiana.

L’incidente
Nei primi anni ’60 i conti dell’ENI peggiorarono a causa dei salvataggi che la società aveva compiuto e di alcuni investimenti sbagliati. Nel 1962, ad esempio, l’indebitamento della società aumentò e non vennero prodotti utili, cioè guadagni. Il 27 ottobre del 1962 alle 16,57, Mattei decollò da Catania per tornare a Milano su un bimotore Morane Saulnier, della flotta dell’ENI. A bordo, oltre al pilota, c’era anche un giornalista americano.
Alle 18,57, mentre si trovavano sopra Bascapé, in fase di discesa verso l’aeroporto di Linate, dall’aereo arrivò l’ultima comunicazione: «Raggiunto duemila piedi», poi più nulla. La prima inchiesta ordinata dal ministro della difesa Giulio Andreotti imputò l’incidente a un errore del pilota: con una virata avrebbe perso il controllo dell’aereo facendolo precipitare.
La spiegazione non soddisfece il fratello di Mattei, che fece denuncia contro ignoti. Anche un’inchiesta della magistratura stabilì che l’aereo si era schiantato a terra quando ancora era integro, quindi non poteva essere esploso in volo. Allo stesso risultato è arrivata un’altra inchiesta, conclusa nel 1997.
Le ipotesi che l’incidente sia stato causato da un sabotaggio o da un attentato sono diffuse ancora oggi. I motivi sono numerosi, anche se restano indizi più che prove. Ad esempio dall’aereo non partirono richieste d’aiuto: il pilota di un aereo che precipita dovrebbe avere tutto il tempo di chiamare aiuto. Mattei, inoltre, era un uomo che si era fatto molti nemici. L’OAS franco-algerino, prima di tutti, che lo aveva minacciato di morte nel 1961. Oppure le grandi aziende petrolifere, infastidite dalla sua concorrenza. Alcuni hanno ipotizzato addirittura la CIA e i servizi segreti israeliani dietro la morte di Mattei. Le prove raccolte in questi cinquant’anni, però, lasciano intendere che si sia trattato solo di uno sfortunato incidente.

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Inserito su www.storiainrete.com il 31 ottobre 2012

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