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Cadorna, Caporetto e la vera storia di un bollettino (troppo) famoso…

Tra le accuse ancora oggi rivolte al Generalissimo Luigi Cadorna, una delle più gravi è di aver dato dei vigliacchi ai soldati italiani per aver emesso anche sulla base di rapporti rivelatisi spesso inesatti, il famoso bollettino del 28 ottobre 1917, poi ritirato e modificato dal governo, che attribuiva il successo nemico alla mancata resistenza dei reparti vilmente ritiratisi senza combattere. Il testo fu scritto dal sottocapo di Stato Maggiore, generale Porro, ma sotto la supervisione del Generalissimo: “La mancata resistenza di reparti della II Armata, vilmente ritiratisi senza combattere o ignominiosamente arresisi al nemico, ha permesso alle forze austro- germaniche di rompere la nostra ala sinistra sulla fronte Giulia. Gli sforzi valorosi delle altre truppe non sono riusciti ad impedire all’avversario di penetrare sul sacro suolo della Patria”.

Il bollettino venne poi così cambiato dal presidente del Consiglio Orlando: “La violenza dell’attacco e la deficiente resistenza di alcuni reparti della II Armata…“. Aggiungendo poi al testo una frase che ribadiva la fiducia nell’Esercito: “Il valore dei nostri soldati in tante memorabili battaglie combattute e vinte durante due anni e mezzo di guerra, dà affidamento al Comando Supremo che anche questa volta l’Esercito, al quale sono affidati l’onore e la salvezza del Paese, saprà compiere il proprio dovere”.

Secondo la testimonianza dell’allora colonnello Gabba, segretario di Cadorna, che fu presente alla redazione del bollettino, il testo venne steso dal medesimo redattore di quello, celeberrimo, del 4 novembre del 1918. Quando Porro lo lesse al Generalissimo erano presenti due ministri in carica, i generali Giardino e Dallolio. Quando Porro lesse la prima parte del bollettino menzionante i reparti vilmente ritiratisi senza combattere o ignominiosamente arresisi al nemico, Cadorna esclamò indignato: “No, questo no“, e si accese una discussione. Porro spiegò che la denuncia era necessaria per chiarire i motivi della debacle, e fece rilevare come nella frase seguente venissero elogiati gli sforzi valorosi delle altre truppe. Giardino e Dallolio, seppure blandamente, sostennero le ragioni di Porro, che finirono per prevalere.

Per il bollettino su citato sul capo di Cadorna da allora piovvero innumerevoli critiche ed attacchi, accusandolo di usare i soldati di Capello come capro espiatorio. In una lettera al colonnello Gatti scritta nel dicembre 1922, Cadorna affermò: “Ho visto dai brani riferiti dai giornali delle Memorie di Giolitti, che questo animale scrive: “… al Cadorna che aveva lanciata la indegna accusa di viltà ai nostri soldati…”. Costui falsa la storia, perché io, nel famoso bollettino, ho stigmatizzato alcuni riparti , ma ho scritto una parola di fede nel valore dell’esercito.

Gli austro-tedeschi sfruttarono il risentimento per il bollettino nei loro manifestini di propaganda: “Italiani! Italiani! Il comunicato del Gen. Cadorna del 28 ottobre vi avrà aperto gli occhi sull’enorme catastrofe che ha colpito il vostro esercito. In questo momento così grave per la vostra nazione, il vostro generalissimo ricorre ad uno strano espediente per scusare lo sfacelo. Egli ha l’audacia di accusare il vostro esercito che tante volte si è lanciato dietro suo ordine in inutili e disperati attacchi! Questa è la ricompensa al vostro valore! Avete sparso il vostro sangue in tanti combattimenti; il nemico stesso non vi negò la stima dovuta come avversari valorosi. E il vostro generalissimo vi disonora, v’ insulta per discolpare sé stesso.

Non tutti attaccarono Cadorna per quanto sostenuto nel bollettino. Bisogna ricordare che l’ammiraglio Paolo Thaon di Revel, comandante della Regia Marina, disse allo stesso Cadorna: “Bravo! Così si dice la verità! “Ma è il caso di chiederci se quanto scritto nel testo originale del bollettino fosse o no rispondente alla realtà dei fatti. Il Capo di Stato Maggiore era da mesi preoccupato dallo stato morale delle truppe, da lui giudicato basso, come, in effetti, era, e come alcuni episodi di cedimento avvenuti ad agosto sul Carso avevano dimostrato; e bisogna aver il coraggio di ammettere che il bollettino pur enfatizzando forse più del dovuto la mancata resistenza corrisponde a quanto, riferiscono le fonti austro- tedesche sui soldati che gettavano le armi inneggiando alla Germania.

Coloro che ancor oggi attaccano Cadorna per queste affermazioni, dovrebbero leggere quanto scritto da Rommel, parlando dell’occupazione del monte Mrzli: “Dal nemico ci separano ormai solo centocinquanta metri. Poi, improvvisamente, la massa lassù comincia a muoversi. I soldati si precipitano verso di me sul pendio trascinando con loro gli ufficiali che vorrebbero opporsi. I soldati gettano quasi tutti le armi. Centinaia di essi mi corrono incontro. In un baleno sono circondato e issato sulle spalle italiane. “Viva la Germania!”, gridano mille bocche. Un ufficiale italiano che esita ad arrendersi viene ucciso a fucilate dalla propria truppa. Per gli italiani sul Mrzli Vrh la guerra è finita. Essi gridano di gioia[1].

Altri episodi si ritrovano nei diari storici delle unità dell’Alpenkorps: “Parecchie centinaia di prigionieri del X Reggimento di fanteria [Brigata Regina, ndA], mitraglieri ed artiglieri scendono dalla montagna. Sono felici di essere prigionieri, ci prendono per Austriaci e gridano: Viva[l’] Austria! (in italiano nel testo; diario del Reggimento Jäger, Alpenkorps); (…) Presso il posto di combattimento della Brigata su q. 1114, uscirono da un tunnel migliaia di uomini giubilanti, tra i quali un generale di Brigata e parecchi ufficiali.

Non è poi corretto affermare, come è stato fatto, che i soldati si arresero senza una vera resistenza perché non erano stati messi in grado di difendersi[2]. Rommel fece scontare un intero Reggimento della Brigata Salerno da due (due!) soldati württemburghesi! E come giustificare le grida favorevoli alla Germania, l’uccisione degli ufficiali colpevoli di fare il proprio dovere, il portare in trionfo gli ufficiali nemici, il correre incontro ai tedeschi per arrendersi, senza neppure aspettare che arrivassero? Così riporta ancora il già citato diario del Leibsregiment dell’Alpenkorps bavarese: “Le posizioni di q. 1110, 1192, Kuk, erano per natura molto forti, ben costruite ed armate con cannoni pesanti, erano molto densamente occupate da riserve portate innanzi, appartenenti a vari reggimenti. Gli Italiani, ad eccezione delle mitragliatrici sopra indicate, non fecero resistenza, anzi si arresero o disertarono. Le scene sorpassavano ogni descrizione. Da ogni dolina, su ogni sentiero si vedevano Italiani che gridavano, gesticolavano e spesso scendevano con le mitragliatrici in spalla per ordinarsi da sé nelle colonne di prigionieri che si formavano.

Un altro caso di resa è ricordato dal capitano Ildebrando Flores: “Un gruppo di reduci dalla prigionia di guerra (…) interrogati sul modo in cui era avvenuta la loro cattura il mattino del 24 ottobre 1917 (…) dichiararono, sottoscrivendo che quel mattino, verso le nove, il battaglione era stato avviato verso il monte Pleka e temporaneamente aveva sostato nei pressi di Libussina. Erano trascorsi pochi minuti dall’arrivo della truppa su quella posizione quando furono scorti reparti tedeschi che marciavano in perfetto ordine, sulla strada della sponda destra dell’Isonzo, su Idersko. Il comandante del battaglione, notata la cosa, diede ordine di non sparare, aggiungendo che qualunque tentativo era inutile, perché si sarebbero avuti dei morti senza alcun costrutto. I Tedeschi furono lasciati indisturbati a compiere la marcia, e il battaglione non si mosse da Libussina fino a poco dopo le undici, ora nella quale sopraggiunsero altri reparti nemici, ai quali il battaglione si arrese senza opporre resistenza.

L’aspirante ufficiale Felice Troiani, del 213° fanteria (Brigata Arno) scrisse: “Gli ex miei soldati uscivano dalla buca della trincea uno per uno, come scarafaggi. Mi duole dirlo, ma erano contenti; credevano di essere fuori dai guai e festeggiavano i Tedeschi, che li trattavano freddamente. Qualcuno dei più entusiasti cercava di baciare le mani dei suoi catturatori“. Cani assassini, cani porci li definisce nel proprio diario- pubblicato solo nel 1955 epurato proprio delle pagine su Caporetto – il sottotenente milanese del 5° Alpini Carlo Emilio Gadda, caduto prigioniero nei primi giorni dell’offensiva e deportato in Germania, tra i soldati felici di essersi consegnati prigionieri, ossia per citare il bollettino, ignominiosamente arresisi al nemico: “Mi cresce l’odio livido, immoderato, senza fine in eterno, contro i cani assassini che hanno consegnato al nemico tanta parte della patria, tanti dei loro, tanti anni della nostra vita: contro quei cani porci con cui mi fu d’uopo litigare in treno, negli orrendi giorni del primo novembre, affinché non cantassero, mentre i tedeschi invadevano il Veneto, che essi avevano loro messo nelle mani. Cani, vili, che mi hanno lacerato e insultato, possano morir tisici, di fame: sarebbe poco“.

E la colpa di Cadorna sarebbe di aver detta la verità?


[1] Erwin Rommel, Infanterie greift an! Erlebnis und Erfahrung, Postdam 1937 [tr.it. Milano 1972, p. 302]

[2] P. Gaspari, in appendice a Cesco Tomaselli, Gli ultimi di Caporetto, Gaspari editore 1997, p.205.

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