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Censura e controcensura: il caso del “novecentista” Corrado Cagli

di Dino Messina dal blog La Nostra Storia del 8 febbraio 2021

Corrado Cagli (1910-1976) è stato uno dei maggiori esponenti di quel gruppo di pittori attivi tra gli anni Venti e gli anni Quaranta del Novecento che diede vita alla cosiddetta “scuola romana”. Anzi fu proprio da una mostra del giovane e talentuoso artista che il critico George Waldemar nel 1933 coniò l’espressione di “scuola romana” che inglobava personalità molto diverse.

Nato ad Ancona in una famiglia ebraica, Cagli conobbe un grande successo di critica e di pubblico tra il 1935 e il 1938, quando in seguito alle leggi razziali dovette lasciare l’Italia e si rifugiò negli Stati Uniti. Acquisita la cittadinanza americana, tornò in Europa con l’esercito alleato, partecipando nel 1944 allo sbarco in Normandia (ma non alla prima ondata) e combattendo per la liberazione del Belgio e della Germania. Tornò in Italia stabilmente nel 1948.

Se si legge il lungo e dettagliato profilo biografico su Wikipedia, si apprende che nel 1937 Cagli partecipò all’esposizione universale che venne inaugurata a Parigi nel 1937. Per la sala d’ingresso del Padiglione italiano, che riscosse un notevole successo nonostante la Francia fosse governata dal Fronte Popolare di Léon Blum, Cagli realizzò una serie di grandi pannelli intitolati “Il trionfo di Mussolini”. Il “Trionfo”, che partiva dai personaggi dell’antichità romana come Romolo, Cesare Augusto, passando per Camillo Benso di Cavour, Giuseppe Garibaldi e Vittorio Emanuele II, si concludeva con un trittico dedicato a un Mussolini a cavallo nell’atto di sfoderare la spada dell’Islam, secondo la foto pubblicata dal “Popolo d’Italia” che ritraeva un momento della visita del Duce nell’Oasi libica su invito di Italo Balbo.

Di questo trittico del Mussolini a cavallo si erano perse le tracce, tant’è che l’ottima Wikipedia non ne dà conto, ma nemmeno la vasta letteratura sul tema. Ne parla invece uno straordinario saggio di Paolo Simoncelli, “Cagli, De Libero, ‘La cometa’ – Censure e manomissioni dagli anni Trenta”, appena pubblicato dalle Edizioni Nuova cultura dell’Università di Roma La Sapienza (pagina 230, euro 21). Simoncelli, professore di Storia moderna e autore di studi sulla Firenze del Cinquecento, non disdegna colte incursioni nel Novecento, come una biografia intellettuale di Renzo De Felice o un aureo libretto dedicato alla medaglia d’oro al valor militare assegnata dal presidente Carlo Azeglio Ciampi al gonfalone di Zara quale città italiana più bombardata della seconda guerra mondiale ma mai consegnata, in omaggio a una vulgata della storia politicamente corretta che inficia anche i rapporti internazionali (nella fattispecie quelli tra l’Italia e la Croazia).

In questo nuovo libro sulla figura di Corrado Cagli, Libero De Libero e del gruppo che si muoveva attorno alla galleria “La Cometa”, finanziata dalla contessa Mimì Pecci Blunt, Paolo Simoncelli non soltanto aggiunge una ulteriore dimostrazione dei danni compiuti dal ”politicamente corretto” ma narra uno dei casi più eclatanti di quel fenomeno, definito da Pierluigi Battista “cancellare le tracce”, che ha accomunato alcuni scrittori e artisti che furono fascisti (o nazisti) in gioventù e che presto o tardi approdarono a posizioni politiche opposte. Clamorosi i casi di Guenter Grass (1927-2015), il premio Nobel della letteratura che nascose di essere stato arruolato giovanissimo nelle SS, o dello storico italiano Roberto Vivarelli (1929-2014), docente alla Normale di Pisa, che in un saggio autobiografico del 2000 confessò la sua adesione giovanile alla Rsi.

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La copertina del saggio di Simoncelli è illustrata da una foto scattata il giorno dell’inaugurazione della Galleria “La cometa”, 15 aprile 1935, con la mostra di cinquanta disegni di Cagli. Un ritratto di gruppo con alcuni dei protagonisti di questa storia, Mirko Basaldella, vicino a Corrado Cagli, Sibilla Aleramo, Mimì Pecci Blunt, la mecenate pronipote di Leone XIII che aveva sposato un banchiere di origine ebraica e convertito al cattolicesimo (Cecil Blumenthal), Alberto Moravia, Giuseppe Ungaretti, forse la signora de Chambrun, moglie dell’ambasciatore francese, infine Libero De Libero, il critico e scrittore cui era stata affidata la direzione della galleria.

Al di là del singolo caso di Cagli, il libro di Simoncelli è un’appassionante descrizione della vita culturale romana negli anni Trenta, con artisti e intellettuali che inseguono i maggiori margini di libertà espressiva, ma vengono drammaticamente condizionati dalla dittatura, con cui a volte sono costretti a venire a patti, accettando o chiedendo finanziamenti o ancora offrendo la propria opera per glorificare le conquiste del fascismo e del suo capo. Simoncelli documenta i numerosi assegni ricevuti da Libero De Libero, così come l’assegno di 2500 lire elargito a Cagli dall’Accademia d’Italia nel 1937, quando si stava per inaugurare il padiglione italiano all’Esposizione universale di Parigi, ma sul “Tevere” di Telesio Interlandi già era  in atto l’odiosa  campagna razzista contro l’”internazionalizzazione dell’arte” e in particolare contro i suoi finanziatori “israeliti”.

Dal libro di Simoncelli emerge il ritratto in chiaroscuro di un decennio drammatico ed eccezionale, in cui tutti i tasselli, anche quelli scomodi, vengono messi al loro posto. Cagli era stato incaricato di affrescare nel 1935 due pareti della sede dell’Opera Nazionale Balilla a Castel De’ Cesari. Ma quelle opere, in particolare “La corsa dei barberi”, ispirata alla tradizione romana della gara di cavalli scossi senza fantino, mal si confacevano alla retorica fascista. Così il presidente dell’ONB, Renato Ricci, quasi sicuramente su pressione del fanatico Achille Starace, ne chiese la censura. Fu lo stesso Cagli a far costruire una finta parete per nascondere la splendida “Corsa dei barberi”, restaurata e presentata al pubblico nel 2019, e probabilmente a raschiare la parete dove stavano emergendo figure non consone alla retorica del regime. Una prova dura per l’artista che tuttavia continuò a ottenere commesse pubbliche, come quella per il grande dipinto di sei metri per sei esposto alla Triennale di Milano nel 1936 e dedicata alla “Battaglia di Solferino e San Martino”.

La critica notò subito la continuità stilistica tra questo soggetto risorgimentale e i pannelli del “Trionfo di Mussolini” esposti a Parigi nel 1937. Alcuni di questi  pannelli sono stati di recente recuperati ed esposti nei musei civici di Torino e Pordenone. Mancava all’appello il trittico con il Duce a cavallo nell’atto di sguainare la spada dell’Islam. Secondo una tradizione critica priva di prove questo trittico e anche altri pannelli sarebbero stati distrutti per ordine di Galeazzo Ciano. Una ipotesi campata in aria secondo Simoncelli, che ha dimostrato con documenti alla mano che Ciano era addirittura favorevole al prolungamento dell’apertura del padiglione italiano all’Esposizione universale di Parigi. Nessuno , né tanto meno Cagli, parla del trittico in cui compare Mussolini, di cui Simoncelli esibisce una foto in appendice al volume. Un altro, comprensibile caso, di cancellazione delle tracce. Comprensibile se si pensa alle sofferenze, alle traversie e alle umiliazioni subite da Cagli e da tanti altri artisti di origine ebraica.

Simoncelli dedica struggenti pagine conclusive alla partenza per l’America nel gennaio 1939 di Mimì Pecci e di Cecil Blumenthal. Negli ultimi mesi ogni mossa della coppia così influente nella cultura romana e italiana degli anni Trenta era stata tracciati da informazioni della polizia e da lettere anonime. Incombevano i disastri della guerra mondiale e la tragedia della Shoah.

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