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Storia, non storie

Croce e quella Libertà da conquistare e difendere senza sosta

A ormai settanta anni dalla scomparsa di Benedetto Croce (l’anniversario esatto cade tra pochi mesi: il 20 novembre 1952), la sua battaglia ideale per l’affermazione della Libertà come conquista ininterrotta dello Spirito e come asse portante della civiltà moderna resta un punto di riferimento ideale indispensabile come antidoto contro tutte le derive totalitarie. Tanto più in quanto egli riafferma con forza tale principio anche negli ultimi anni di vita, con un nuovo senso critico, intriso di pessimismo, alla luce delle tragedie che hanno sconvolto l’Europa nei due conflitti mondiali, ma anche nel dopoguerra.

Sono lontani i tempi dell’inizio del secolo, quando Croce parlava di “progresso cosmico” a proposito degli sviluppi della storia umana. “Il male – scriveva – essendo ciò che non è, è irreale, e ciò che è realmente è sempre solo bene”: insomma come argomentava il sommo Hegel, il razionale è sempre reale e viceversa. La storia, quindi non comporterebbe mai regressi duraturi, ma solo contraddizioni. “Le soluzioni, una volta raggiunte, sono acquisite per sempre; i problemi, una volta risoluti, non risorgono più, o, che è lo stesso, risorgono in modo diverso dal passato”.

Da queste considerazioni derivava una fede razionale nella libertà nata tra la fine del Settecento e l’inizio dell’Ottocento: una libertà indistruttibile perché, anche se, in alcuni periodi, sarebbe potuto accadere che i regimi liberali dovessero soggiacere per qualche tempo a regimi autoritari e illiberali, “la libertà avrebbe seguitato a operare dentro di questi e a corroderli e, infine, ne sarebbe tornata fuori più sapiente e più forte”. Quindi, anche attraverso il male il progresso verso il bene sarebbe comunque razionalmente assicurato.

Questo quadro di ottimismo razionale muta profondamente in seguito alla Seconda guerra mondiale e, in particolare, alla catastrofe che travolge l’Italia. Già dopo il primo conflitto europeo, osserva Croce, si erano diffusi sentimenti di un declino irreversibile dell’Occidente (Spengler), ma dopo il secondo conflitto questo sentimento è diventato sempre più radicato coinvolgendo soprattutto la civiltà europea. Le distruzioni sistematiche e intenzionali che la guerra ha comportato, hanno significato la rottura della tradizione e l’instaurazione della barbarie, che ha spazzato via molte delle migliori opere della creazione umana per puro spirito nichilista, dando corpo a quella fine della civiltà che molti temevano imminente.

Questi pensieri trovano spazio esplicitamente nel saggio L’Anticristo che è in noi del 1946, dove Croce parla di “imbarbarimento”, nel quadro di una guerra di tutti contro tutti, in un mondo dove il totalitarismo, anche dopo la sconfitta del fascismo e del nazismo, continuava a prosperare e ad espandersi (il riferimento al blocco comunista è evidente), aprendo le porte a un’epoca che non poteva certo essere definita di civiltà e di progresso. Le parole di Croce in proposito sono altamente drammatiche. “L’Anticristo distruttore del mondo, scrive, godente della distruzione, incurante di non poterne costruire altro che non sia il processo sempre più vertiginoso di questa distruzione stessa, il negativo che vuole comportarsi come positivo ed essere come tale non più creazione ma, se così si potesse dire, dis-creazione”.  

Sembra una prospettiva senza via d’uscita, una crisi senza speranza, in cui il negativo è destinato a prevalere. La possibilità di una decadenza, sempre avversata dal filosofo, si è fatta invece concreta e immanente, mentre appare, in alcuni passaggi, addirittura irreversibile. Ma, a leggere con attenzione, nel quadro delineato, alle ombre prevalenti si alternano anche delle luci; la fiducia ottimistica nella razionalità della Storia e nel progresso senza cadute è venuta meno, ma ha lasciato il posto a una visione più complessa e articolata che, alla luce delle crisi mondiali, ha fatto propri il realismo senza illusioni del binomio che Machiavelli pone alla base delle vicende umane (‘Virtù e Fortuna’) e il pessimismo del Leopardi de La ginestra.

Croce, quindi, prende atto di una profonda e dolorosa crisi interiore. E non a caso nello stesso testo si legge questa confessione: “Richiede uno sforzo penoso passare alla diversa visione della civiltà umana come il fiore che nasce sulle dure rocce e che un nembo strappa e fa morire, e del pregio suo che non è nell’eternità che non possiede, ma nella forza eterna e immortale dello spirito che può produrla sempre nuova e più intensa”.

Parole drammatiche e inequivocabili. Lo Spirito e quindi la civiltà possono sempre prevalere sull’Anticristo, ma all’interno di un conflitto senza fine, in cui non si può mai pensare che la vittoria della Libertà, e quindi della civiltà, sia stata ottenuta una volta per tutte, mentre invece essa va riconquistata attraverso una lotta continua, grazie alla “forza eterna e immortale dello Spirito”: un messaggio la cui attualità appare ancora oggi assolutamente indiscutibile, soprattutto in tempi come quelli che viviamo, in cui molte e preoccupanti ragioni propendono in favore di una visione del futuro certamente non ottimistica e progressiva.

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