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Emilio Salgari fa ancora sognare Sandokan e il Corsaro Nero i suoi eroi

di Antonio Carioti dal Corriere della Sera del 27 giugno 2017

Intere generazioni di ragazzi italiani hanno sognato con i romanzi di Emilio Salgari, che li trasportavano come d’incanto nell’Oceano Pacifico, nella giungla del Bengala, sulle isole dei Caraibi, nelle foreste venezuelane, nelle praterie del Far West, in Africa o in Cina. Eppure l’autore, nato a Verona il 21 agosto 1862 (ancora sotto l’impero asburgico), non era certo un giramondo o un lupo di mare. Aveva frequentato l’Istituto nautico, ma senza ottenere il diploma, e in viaggio per nave era rimasto nel perimetro dell’Adriatico, senza spingersi oltre Brindisi. La sua immaginazione era però smisurata, così come le sue doti di narratore. Ed era curioso, si documentava ampiamente, anche se in modo un po’ disordinato, su enciclopedie e riviste del più vario genere.

Non è certo il rigore dell’ambientazione, ovviamente, quello che colpisce nelle opere di Salgari. Conta semmai la caratterizzazione vivida dei suoi personaggi, che invadono l’immaginario del lettore: Sandokan, Yanez, Kammamuri, Suyodhana, Teotokris, il Corsaro Nero, Wan Guld, Carmaux e Wan Stiller sembra di averli dinanzi agli occhi, con le loro vesti, rozze o raffinate, e le loro armi, sempre micidiali. Non a caso hanno ispirato lavori di notevole pregio da parte degli illustratori, a cominciare da Giuseppe Gamba, detto «Pipein». Ma il vero segreto è la carica emotiva delle trame rocambolesche di Salgari, sempre segnate da passioni forti: amore, odio, amicizia fraterna, gusto di mettersi alla prova, cameratismo di combattenti, senso dell’onore, desiderio di vendetta.
I suoi personaggi, soprattutto i protagonisti più ardimentosi, non conoscono compromessi e mezze misure, anche se a volte la vita li pone di fronte a scelte angosciose che finiscono per spezzare la loro ferrea determinazione. L’esempio più noto è il Corsaro Nero, terrore delle Antille spagnole, che dà il nome al romanzo con il quale si apre la serie in edicola con il «Corriere della Sera»: probabilmente il capolavoro di Salgari, assieme a I pirati della Malesia. Lacerato e combattuto tra passioni contraddittorie, il conte italiano Emilio di Roccabruna, assurto a capo dei filibustieri sul vascello Folgore, giungerà a infierire su se stesso, riducendosi in lacrime, pur di rimanere fedele a un tragico giuramento: solo nel successivo romanzo La regina dei Caraibi (anch’esso incluso nella collana del «Corriere») il suo tormento interiore troverà uno scioglimento positivo.
Nel collocarsi sulla scia di famosi autori d’avventura come Alexandre Dumas padre, Walter Scott, Jules Verne, Robert Louis Stevenson, Salgari mostra tuttavia significative peculiarità, che tra l’altro lo misero in urto con i benpensanti della sua epoca. Oltre alla violenza, ai continui combattimenti per terra e per mare, la sua prosa contiene una dose conturbante di erotismo soffuso. Sia nel descrivere i personaggi femminili, spesso molto sensuali, sia nel plasmare i suoi eroi, solitamente dotati di un forte magnetismo animale, il romanziere veronese trasmette messaggi trasgressivi, accentuati dalla sua predilezione per gli amori meticci.
In un’epoca caratterizzata dal trionfo delle ideologie coloniali e dal forte razzismo, più o meno esplicito, che le accompagnava, Salgari fa costantemente innamorare, nel suo celebre ciclo indo-malese, personaggi che provengono da continenti diversi. Non soltanto Sandokan, principe del Borneo divenuto pirata, si unisce all’anglo-italiana Marianna Guillonk, ma il suo inseparabile compagno d’avventure Yanez de Gomera, nato in Portogallo, sposa l’indiana Surama, erede al trono dell’Assam, mentre il loro alleato Tremal-Naik, cacciatore bengalese e nemico giurato della setta assassina dei Thugs, prende in moglie l’inglese Ada Corishant. Matrimoni misti, dunque, per i principali eroi della saga avvincente (undici romanzi pieni di colpi di scena, tutti compresi nella serie del «Corriere») che si snoda dalle isole di Mompracem e Labuan all’India sotto il dominio britannico. Appare significativo inoltre che l’inventore di Sandokan abbia dato nomi piuttosto esotici (due spiccatamente islamici) ai suoi quattro figli: una femmina (Fatima) e tre maschi (Omar, Nadir, Romero).

Bisogna aggiungere che nei romanzi di Salgari i conquistatori europei di maggior successo, dominatori di grandi imperi territoriali e marittimi, fanno spesso la parte dei cattivi. Vale per gli inglesi, in particolare il «rajah bianco» di Sarawak James Brooke (realmente esistito), cui si contrappongono i pirati della Malesia guidati da Sandokan e Yanez. Ma vale anche per gli spagnoli, messi in scacco dal Corsaro Nero e poi dal suo luogotenente Morgan, che ne sposa la figlia Jolanda. Forse è un po’ eccessiva la lettura «antimperialista» degli eroi di Mompracem proposta di recente dallo scrittore Paco Ignacio Taibo II, ma non c’è dubbio che Salgari si schiera regolarmente dalla parte dei più deboli e dei fuorilegge, contro i poteri costituiti. D’altronde non può essere un caso che i suoi romanzi fossero fra le letture predilette di Ernesto Che Guevara.
Anche Sergio Sollima, regista del riuscitissimo sceneggiato televisivo Sandokan che rilanciò la popolarità di Salgari a metà degli anni Settanta, aveva puntato un po’ su questa lettura politica rivoluzionaria e terzomondista ante litteram, sfruttando anche la bandiera assegnata dall’autore ai pirati di Mompracem, rossa con al centro una testa di tigre, che poteva ricordare quella del Vietnam comunista. Ma Sandokan è pur sempre figlio di un sovrano e finirà per riconquistare il regno che gli spetta, mentre Yanez è destinato a diventare il rajah dell’Assam. Anche se amano Mompracem svisceratamente (e ne torneranno in possesso per due volte, dopo essere stati cacciati a suon di cannonate da forze nemiche preponderanti), il loro destino non è fare i pirati per tutta la vita. Né le vicende narrate da Salgari presentano contenuti d’impegno sociale, anche se spicca, nel romanzo Le due Tigri, la condanna che l’autore pronuncia contro le stragi compiute dai britannici a Delhi nel 1857, durante la repressione scatenata in seguito alla rivolta dei Sepoys. D’altronde bisogna anche aggiungere che lo stesso fascismo, a suo tempo, cercò di strumentalizzare Salgari in funzione anti inglese.
All’epoca del ventennio mussoliniano però l’autore era scomparso da tempo, schiacciato dai debiti e dalle vicissitudini famigliari che lo avevano condotto al suicidio. Benché i suoi romanzi si vendessero eccome, tanto da arricchire parecchio gli editori, Salgari non riusciva a sbarcare il lunario, anche per le cure che doveva prestare alla moglie Ida (lui la chiamava Aida) Peruzzi, affetta da una grave malattia nervosa. Ed era costretto a ritmi di lavoro asfissianti, che si riflettono anche nella ripetitività di alcune scene: in un arco di tempo relativamente breve, non molto più di una ventina d’anni, produsse circa ottanta romanzi. Quando poi Ida fu ricoverata in manicomio, Emilio non resse più e si tolse la vita a Torino, città dove abitava da un decennio, squarciandosi il ventre e la gola, il 25 aprile 1911. Lasciò tre lettere, di cui una, molto risentita, indirizzata a coloro che ne avevano sfruttato il talento senza alcuna considerazione per la sua sofferenza umana.
Nonostante avesse ricevuto nel 1897, su proposta della regina Margherita di Savoia, il titolo di cavaliere, Salgari non era mai stato preso in considerazione dagli ambienti letterari. Era giudicato uno scrittore di serie B, relegato nell’ambito dell’intrattenimento per ragazzi, anche se il suo pubblico contava appassionati di tutte le età. I moralisti lo consideravano diseducativo, i cultori del bello stile lo reputavano volgare. E forse in questo genere di atteggiamenti c’era anche un pizzico d’invidia per la vasta fetta di mercato che la produzione salgariana andava ad occupare.
Tuttavia il tempo è galantuomo. Come si è visto in occasione del centenario della morte, l’opera di Salgari, lungi dall’essere sepolta nell’oblio come alcuni avrebbero auspicato, si è rivelata particolarmente longeva: basti solo pensare al numero enorme di trasposizioni cinematografiche che le sono state dedicate, oppure, per il fumetto, al Sandokan (rimasto a lungo inedito) di Mino Milani e Hugo Pratt. Del resto l’altezzosa noncuranza ostentata per tanto tempo verso l’autore veronese ricorda da vicino la supponenza con cui si è a lungo guardato, per l’appunto, al mondo dei comics. E non poche venature salgariane si ritrovano nelle storie di personaggi dei fumetti popolari come Tex Willer, Zagor, Martin Mystère.
Basta poi dare un’occhiata al documentatissimo sito web www.emiliosalgari.it per constatare come le avventure del Corsaro Nero e delle altre sue creature non solo vengano ristampate di frequente, ma offrano spunti per ricerche di vario genere. Un esempio eloquente è la discussione, con tanto di indagini certosine su carte nautiche dell’Ottocento, per capire se Mompracem esista e in quale isola reale la si possa identificare. Uno sforzo che testimonia quanto affetto leghi ancora tanti lettori al covo impervio di Sandokan e Yanez, un luogo dell’anima su cui sventola il vessillo della fantasia.

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