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Le migliori delle peggiori “cantonate” della Storia

worldhistoryrome.jpgRicordate Francis Fukuyama, colui che nel 1992 scrisse “La fine della Storia”, in cui affermava che con la sconfitta delle ideologie totalitarie, con l’affermarsi del capitalismo e con la vittoria storica della democrazia liberale l’umanità, a livello ideologico, avesse raggiunto il culmine del suo sviluppo in termini di pensiero politico? L’ipotesi si rivelò errata, dato che la Storia continua e continuerà. Un abbaglio simile era già stato preso nei primi anni del I secolo d.C. dallo scrittore romano Marco Velleio Patercolo, che nella sua “Storia di Roma”, aveva ipotizzato che l’Impero romano costituisse il culmine della storia, il confine ultimo di ogni altra possibile evoluzione. In altre parole, anche secondo lui era “la fine della Storia”, ma questa continuò e ce ne fece vedere di tutti i colori, alla faccia di coloro che tendono ad individuare la fine della Storia nella situazione vissuta da loro stessi, con scarsa considerazione di ciò che faranno le generazioni future. E la storia umana, fra il fu-Patercolo e il Fu-kuyama, ne ha registrate, di cantonate. Eccone alcune.

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di Giovanni Marizza da L’Occidentale dell’11 dicembre 2010

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Nel 1300 circa i primi cannoni sparavano una grossa freccia; spesso i proiettili non colpivano il bersaglio o, peggio, colpivano gli spettatori delle dimostrazioni. Uno storico dell’epoca affermò: “Il cannone è incontrollabile e troppo costoso, colpisce un uomo solo come la balestra: non avrà avvenire”. Ma le cose andarono diversamente e Stalin giunse a definire l’artiglieria “la regina della battaglia”. Tre secoli più tardi, il 19 dicembre 1615, uscendo da Palmanova per assediare Gradisca, il comandante veneziano Pompeo Giustiniani giurò che in tre mesi avrebbe cacciato gli Austriaci dalla contea di Gorizia, dall’Istria e dalla Carsia. E invece nel 1618 la guerra finì favorevolmente per l’Austria, i Veneziani furono sconfitti e il Giustiniani trovò la morte sul campo.

Neanche i Grandi della Storia sono esenti da clamorose cantonate. “Wellington è un pessimo Generale. Prevedo la vittoria entro l’ora di pranzo”, disse Napoleone Bonaparte nel 1814, prima della battaglia di Waterloo. “Non potrebbero colpire un elefante a questa dist…”. Queste, nel 1864, in tempi di guerra civile americana, furono le ultime parole del generale John Sedgwick, pronunciate mentre si sporgeva dal davanzale di una casa per spiare le linee nemiche durante la battaglia di Spotsylvania. E morì sul colpo.

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Gli Americani avranno bisogno del telefono, ma noi no. Noi siamo pieni di messi” disse Sir William Preece, a capo del British Post Office, nel 1878. “Il fonografo non ha nessun valore commerciale” sentenziò nel 1880 l’inventore americano Thomas Alva Edison. Nel 1893 un’ordinanza della polizia rese obbligatorie le targhe automobilistiche a Parigi. L’esempio fu seguito dalla Baviera nel 1899, da Spagna e Belgio nel 1900, dalla Svizzera nel 1902 e dall’Italia nel 1903. Un autorevole quotidiano inglese affermò che se il sistema fosse stato adottato anche in Inghilterra “avrebbe avuto un effetto disastroso sullo sviluppo dell’industria automobilistica britannica”.

Nel 1900 i Britannici si apprestavano ad attaccare i Boeri in Sudafrica. Un comandante inglese affermò: “Credo proprio che potremo combattere i Boeri in mattinata e giocare a polo dopo pranzo!”. Ma i Boeri fecero vedere i sorci verdi agli Inglesi e si arresero solo il 31 maggio 1902 dopo che Lord Kitchener fece deportare in massa donne e bambini per privare di sostegno la guerriglia boera. Nel 1903 il Contrammiraglio Gavotti non credeva ai sottomarini: “Se davvero questa arma proditoria dovesse prendere piede, io credo che basterebbe il primo esempio per rendere impossibile ogni guerra futura sul mare”. Nello stesso anno l’Ansaldo di Genova (che disponeva di due incrociatori, “Mariano Moreno” e “Bernardino Rivadavia”, rifiutati dal Cile), incaricò l’agente giapponese Suzuki di vendere i due incrociatori alla Marina nipponica. Suzuki tagliò corto: “Inutile, la situazione fra Giappone e Russia si sta appianando”. Al contrario, nel 1904 scoppia la guerra russo-giapponese. I due incrociatori, coi nomi KasugaNisshin, vennero venduti al Giappone e nel maggio 1905 parteciparono con successo alla battaglia decisiva di Tsushima. Alla fine di quel medesimo anno l’addetto militare italiano a San Pietroburgo, Paolo Ruggeri Laderchi, scrisse a Roma sugli scontri russo-nipponici: “Sono solo incidenti di frontiera, il Giappone non oserà attaccare la Russia, la guerra sarà evitata…” Ma all’inizio del 1904 la guerra scoppiò veramente, e il Giappone non solo attaccò, ma vinse. Evidentemente il 1903 fu un momento d’oro delle cantonate. L’anno non era ancora finito che si udì questa sentenza: “Volare con macchine più pesanti dell’aria è impraticabile, irrilevante se non interamente impossibile”. Chi sproloquiava così era il matematico e astronomo Simon Newcomb. Diciotto mesi più tardi, i fratelli Wright riuscirono a far volare il loro primo aeroplano a Kitty Hawk.

Ne 1909 ecco un’altra cantonata storica: “Che l’automobile abbia praticamente raggiunto il limite del suo sviluppo è dimostrato dal fatto che nel corso dell’ultimo anno non è stata introdotta alcuna miglioria davvero radicale”, scriveva la rivista “Scientific American”. Nel 1911 il Generale Ferdinand Foch, più tardi comandante delle forze anglo-franco-americane nella prima guerra mondiale, dichiarò: “Gli aerei sono giocattoli interessanti, ma di nessun valore militare”. Si avvicinava la grande guerra. Nel giugno 1914 l’ambasciatore francese a Vienna, Mr. Crozier, appena venuto a sapere dell’attentato a Francesco Ferdinando a Sarajevo, dichiarò al giornalista Edouard Helsley: “Deploro questo sanguinoso avvenimento, ma so per certo che questo assicurerà la pace in Europa per più di mezzo secolo”. Nel mese di luglio il primo ministro britannico Asquit, commentando la delicata situazione internazionale, disse: “Tre volte in otto anni (1905, 1908 e 1911) l’Europa è stata sull’orlo della guerra ma ogni volta la diplomazia ha prevalso; sarà così anche questa volta!” Ancora a luglio, quando Belgrado accettò tutte le clausole dell’ultimatum austroungarico (tranne la presenza di un giudice austriaco nel processo contro Princip), l’Imperatore tedesco Guglielmo II esclamò felice: “Una grande vittoria morale per Vienna; con ciò viene meno qualsiasi motivo di guerra!” Non contento di questa gaffe, nel mese di agosto disse alle truppe tedesche: “Sarete a casa prima che le foglie cadano dagli alberi”. La prima guerra mondiale si concluse sì in autunno, ma nel 1918, e disastrosamente per la Germania. Nel 1915, come nella guerra gradiscana del 1615-18, all’inizio della prima guerra mondiale qualche italico stratega, emulo del già citato Pompeo Giustiniani, previde che, partendo sempre da Palmanova, nel giro di tre mesi l’esercito italiano avrebbe conquistato Trieste, Lubiana e, perché no, Vienna.

Il 23 ottobre 1922, alla vigilia della grande manifestazione fascista di Napoli in preparazione della Marcia su Roma, il capo del governo Luigi Facta telegrafò al Re: “Situazione politica rischiarata. Dalla riunione fascista di Napoli non emergerà nulla di importante”. Nel 1927, il 10 maggio, il giornale francese “La Presse” annunciò in prima pagina la perfetta riuscita del primo collegamento aereo Parigi-New York, con dovizia di particolari. In realtà gli aviatori Francois Coli e Charles Nungesser persero la vita nel loro aereo inabissatosi nelle acque dell’Atlantico.

Chi diavolo vorrebbe sentire un attore parlare?” disse sempre nel 1927 il signor Warner, co-fondatore della Warner Bros, estremamente scettico sul futuro del film sonoro.

Ecco una perla del 1936: “Un razzo non sarà mai in grado di abbandonare l’atmosfera terrestre”. Lo scrisse il quotidiano “New York Times”. Un anno dopo, nel 1937, il generale Vittorio Ambrosio, dopo le grandi manovre in Sicilia, sentenziò: “Queste manovre hanno dimostrato che chi si attentasse a mettere le mani sull’Isola, le avrebbe certamente stroncate!”. Sei anni dopo, qualcuno disse di lui, stavolta senza sbagliare: “All’atto pratico, non solo non troncò le mani altrui, ma alzò le sue in segno di resa”. Nell’ottobre 1940 Benito Mussolini sentenziò “Spezzeremo le reni alla Grecia!”. Qualcuno cercò di superarlo: “Le due gallette e le due scatolette che avete al seguito vi saranno sufficienti, perché la Grecia non opporrà resistenza!”, disse il generale Girotti, comandante di una divisione, il 27 ottobre 1940, giorno precedente l’attacco alla Grecia. Quella guerra era solo all’inizio, e doveva riservarci ben altre cantonate. Il 14 giugno1941 il generale Pietro Badoglio scrisse a Dino Grandi: “Ho la più completa fiducia nella nostra vittoria”. Nel 1943 il Generale Efisio Marras, addetto militare a Berlino, illustrando la situazione a Vittorio Emanuele III disse: “La Germania è in grado di bloccare l’avanzata russa!”. Nel maggio 1943, in un rapporto al capo del governo, il generale Vittorio Ambrosio, capo di stato maggiore generale (definito “militare anche quando è in pigiama”) disse con sicumera: “Non credo all’invasione della penisola, perché sarebbe cosa lunga e non decisiva per il risultato finale della guerra. L’Italia, anche ridotta nella Valle Padana, non cede: questo i nostri avversari ormai sanno! Se i nemici sbarcheranno in Sicilia, avremo la più strepitosa vittoria della guerra, e sulle coste siciliane tramonteranno le speranze mediterranee degli Angloamericani!”. Di questo sembrava convinto anche Mussolini: “Li fermeremo sul bagnasciuga!”, disse riferendosi alla possibilità che gli Angloamericani sbarcassero in Italia. In effetti, non solo sbarcarono, ma il “bagnasciuga” era in realtà la “battigia”. Dopo la guerra, le cantonate tutto fecero, fuorché passare di moda. “La televisione non durerà. E’ un fuoco di paglia”. Disse Mary Somerville, pioniere delle trasmissioni educative via radio nel 1948.

Vi seppelliremo”. Così il premier sovietico Nikita Sergeevič Chrusciov pronosticò nel 1958 la vittoria del comunismo sovietico sul capitalismo americano. L’8 ottobre 1958 tre quotidiani romani uscirono in edizione straordinaria: “Il Papa è morto!” ma furono costretti a ritirare i giornali. Pio XII in realtà morì l’indomani. “Se qualcosa rimarrà più o meno immutato, sarà il ruolo delle donne” disse nel 1967 David Riesman, sociologo conservatore americano, che non immaginava fin dove sarebbe arrivata l’emancipazione femminile.

Passando alla guerra del Vietnam, il 21 novembre 1967 il generale William Westmoreland sentenziò “Sono assolutamente certo che mentre il nemico nel 1965 stava vincendo, oggi sta sicuramente perdendo”. Nove anni dopo, gli Americani dovettero abbandonare il Vietnam.

Nel 1971 molti giornali prevedevano l’imminente arrivo di una nuova era glaciale, mentre oggi ci ripropongono quotidianamente la storia del riscaldamento globale. Nel 1977 Ken Olson, presidente, direttore e fondatore di una grande azienda di computer mainframe, criticando i personal computer disse “Non c’è alcuna ragione per cui qualcuno dovrebbe volere un computer nella sua casa”. E invece oggi anche i bambini, oltre al telefonino cellulare, hanno un pc. Una delle più celebri cantonate fu quella presa dal leader tedesco orientale Erik Honecker, che a maggio 1989, parlando del muro di Berlino, dichiarò: “Fra 50 o 100 anni questo argine di protezione antifascista sarà ancora al suo posto!” Cinque mesi dopo, il muro cadde.

E veniamo a questo secolo. L’11 marzo 2003 Paul Wolfowitz, rivolgendosi ai veterani di guerra, disse “Così come la gente di Francia nel 1940, gli Irakeni ci vedono come liberatori. Sanno che l’America non arriva come i conquistatori” Alla vigilia del 2011, gli USA hanno ancora 50.000 soldati in Iraq, oltre ad altri 10.000 di riserva in Kuwait. Proseguiva Wolfowitz: “Dopo che avremo rovesciato Saddam, l’apprezzamento e la cooperazione dell’Iraq sarà molto più grande di quello dell’Europa dell’Est, dove la gente si è lamentata del fatto che gli USA abbiano impiegato tanto tempo ad arrivare” Anche Dick Cheney, vice presidente americano, dichiarò alla televisione il 16 marzo 2003 che “Gli Irakeni ci saluteranno come liberatori”. Anche da parte irakena ci fu chi volle passare alla storia per una cantonata micidiale, come quell’alto funzionario saddamita che di fronte alle telecamere dichiarava che le truppe USA erano in rotta, ben lontano da Baghdad, mentre alle sue spalle si vedevano sfilare i primitank americani (qualcuno, impietosamente, suggerì: “Ditegli di girarsi!”). Ma chi superò tutti fu il presidente George W. Bush sul ponte della portaerei “Lincoln”, che il 1° maggio 2003 esclamò “Le ostilità sono terminate!” Alle sue spalle, campeggiava lo striscione con la scritta “Mission accomplished!”. Fino a quel momento i morti americani erano stati poche decine, oggi sono più di cinquemila. Nemmeno il capo della Coalition Provisional Autority in Iraq, Paul Bremer, uno che di cantonate se ne intendeva, si sottrasse al dovere di dichiarare ai capi curdi Talabani e Barzani che “Nessun curdo diventerà mai né primo ministro né tantomeno presidente dell’Iraq”. Era il mese di maggio del 2003. Il 7 aprile 2005 Jalal Talabani venne eletto presidente transitorio dell’Iraq e il 22 aprile 2006 diventò presidente della repubblica, carica che ricopre tuttora. Sarà questa l’ultima delle cantonate? Macchè, ne vedremo ancora delle belle.

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Inserito su www.storiainrete.com il 12 dicembre 2010

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