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I debiti di guerra tedeschi e le ragioni dei greci

Tsipras sbatte in faccia alla Merkel un prestito forzoso del 1942. Che la Germania non pagò allora e non pagherà mai. Ecco cosa c’è di vero nelle rivendicazioni greche e quanti soldi ci sono in ballo.

Rodolfo Casadei da Tempi del 6 aprile 2015 Tempi.it

Nel giro di due mesi hanno stabilito il record mondiale delle gaffe di un governo democraticamente eletto. Un giorno il ministro degli Esteri minaccia di aprire le frontiere e lasciar passare nel resto dell’Unione Europea tutti gli immigrati clandestini e i terroristi jihadisti che transiteranno per la Grecia; un altro il ministro della Giustizia minaccia di sequestrare le sedi del prestigioso Goethe Institut, l’istituto culturale dove i greci vanno a studiare il tedesco, ad Atene e a Salonicco; un altro ancora il ministro della Difesa annuncia che il suo ministero sarà coinvolto nell’aggiornamento dei libri di storia scolastici, e farà in modo che sia dato più spazio all’illustrazione delle atrocità naziste nella Grecia occupata; quindi arriva il ministro per il coordinamento di governo e spiega che l’opposizione dell’esecutivo polacco alle richieste di rinegoziazione del debito da parte del governo greco non è sorprendente, considerato che durante la Seconda Guerra mondiale la Polonia ha avuto un atteggiamento collaborazionista con gli occupanti tedeschi!

Di fronte a questi numeri da circo, al governo tedesco è stato facile ridicolizzare il più grosso dei fuochi artificiali sparati da Alexis Tsipras prima in campagna elettorale e poi da capo del governo greco: portare la Germania al tavolo di un negoziato formale per il risarcimento dei danni di guerra causati dall’occupazione tedesca del 1941-’44. Una cosa di più di 70 anni fa. Steffen Seibert, portavoce di Angela Merkel, ha tagliato corto con brevitas teutonica: «La questione delle riparazioni e degli indennizzi è legalmente e politicamente chiusa». Sicuro? E se invece fosse l’unica questione o quasi sulla quale il bizzarro governo rosso-nero greco ha, almeno in parte, ragione? Il fatto è che persino fra i tedeschi, in gran parte irritati dalle minacce degli indebitati greci, c’è chi dubita della fondatezza della posizione di Berlino. «Il punto di vista del governo è sbagliato, la questione non è affatto chiusa, è ancora molto aperta», dichiara lo storico Eberhard Rondholz, specialista di questioni greche moderne e contemporanee. Gli fa eco Gesine Schan, ex candidata socialdemocratica alla presidenza della Repubblica: «L’argomento legale del governo non è convincente. Lascia la cattiva impressione che la Germania non voglia affrontare le sue responsabilità». Col suo punto di vista concordano parlamentari socialdemocratici, verdi e della sinistra (Die Linke).

I termini finanziari della questione delle riparazioni e degli indennizzi per danni e crimini di guerra tedeschi in Grecia non sono affatto una bazzecola. Già il governo Samaras aveva dedicato attenzioni alla questione, incaricando il ministero delle Finanze di stendere un rapporto sull’entità del “debito di guerra” tedesco. Secondo il documento, reso pubblico nel dicembre scorso, la Germania dovrebbe alla Grecia 9,2 miliardi di euro per danni risalenti alla Prima Guerra mondiale, 322 miliardi per danni della Seconda e altri 10 miliardi per un prestito forzoso dalla Banca centrale greca a quella tedesca nel 1942 mai restituito. In totale fanno 341 miliardi di euro. Nel 2013 lo stesso ministero delle Finanze greco era stato più modesto, e aveva stimato in 162 miliardi di euro l’importo che la Germania avrebbe dovuto versare alla Grecia per mettersi a pari: 108 miliardi per la ricostruzione delle infrastrutture distrutte e 54 miliardi per la restituzione del prestito forzoso del 1942.
Insomma, le petizioni greche per vedersi ripagati i danni di guerra non cominciano col governo Tsipras, nel 1995 una nota diplomatica consegnata alle ambasciate e al ministero degli Esteri tedesco recitava: «La Grecia non ha rinunciato alle sue pretese di compensazioni e riparazioni per i danni sofferti durante la Seconda Guerra mondiale». Eppure agli atti ci sono solo 115 milioni di marchi (57,5 milioni di euro di oggi) pagati nel 1960 dalla Germania come gesto di buona volontà verso le vittime dei crimini di guerra nazisti (stragi e deportazioni) e poi il mantra che tutti i governi tedeschi ripetono dal 1990: «Tutti questi argomenti sono stati definitivamente regolati giuridicamente dal Trattato 2 più 4», come ha ripetuto anche recentemente il ministro tedesco dell’Economia Sigmar Seibert.

Prima è presto, poi è tardi
Che cos’è il Trattato 2 più 4? È l’accordo sullo stato finale della Germania, firmato a Mosca il 12 settembre 1990 dalle quattro potenze vincitrici della Seconda Guerra mondiale (Stati Uniti, Urss, Francia e Regno Unito) e dalle due entità tedesche che si erano costituite nel 1949, la Germania Ovest e la Germania Est. Con quel trattato le potenze vincitrici rinunciavano a tutti i loro diritti sulla Germania sconfitta e ne autorizzavano la riunificazione a condizione che il riunificato Stato tedesco rinunciasse alla detenzione di armi atomiche e altro ancora. La rinuncia comprendeva anche i danni di guerra che la Germania non aveva ancora ripagato. Questi erano stati congelati con una decisione presa nel 1953, in occasione della conferenza dei paesi creditori della Germania a Londra. Nel clima di Guerra Fredda che aveva da poco investito il continente, le percezioni nei confronti dei tedeschi erano completamente cambiate: mentre fino ad allora si era proceduto allo smantellamento della residua capacità industriale tedesca per indennizzare chi aveva subìto danni dai nazisti, a Londra si mise la Germania Ovest in condizione di rialzarsi, cancellando il 50 per cento dei debiti ordinari che gravavano sul paese e rimandando il saldo dei danni di guerra ancora pendenti a dopo la riunificazione della Germania e al trattato di pace definitivo che ne sarebbe seguito.
Le cose in Europa erano cambiate: la politica aggressiva ed espansionistica dell’Unione Sovietica faceva paura, e nelle capitali occidentali si pensò che bisognava permettere alla Germania Ovest di rimettersi in piedi per avere i tedeschi dalla parte della Nato in caso di crisi militare col Patto di Varsavia e per evitare la nascita di un fronte interno comunista. La Grecia, che era da poco uscita dalla guerra civile fra partigiani comunisti e anticomunisti, con la vittoria dei secondi grazie all’appoggio determinante di americani e inglesi, si accodò e accettò di rinviare la questione dei suoi danni, che secondo i calcoli della Conferenza di Parigi (1945) ammontavano a 7 miliardi di dollari anteguerra, una cifra che oggi corrisponderebbe a 116,5 miliardi di dollari. Venne la riunificazione della Germania, ma ai greci non fu ripagato più nulla. Prima era troppo presto, dopo il 1990 era troppo tardi. Perché?

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I tedeschi sostengono che col Trattato di Mosca le potenze vincitrici hanno rinunciato, fra le altre cose, al trattato di pace vero e proprio con la Germania: hanno semplicemente fissato le condizioni per la riunificazione tedesca. Il trattato, infatti, si chiama Trattato sullo stato finale della Germania. Poiché gli unici paesi coi quali i tedeschi hanno firmato la loro resa nel 1945 sono Stati Uniti, Unione Sovietica, Regno Unito e Francia, non c’è più nessun paese col quale i tedeschi debbano firmare un trattato di pace. Ne consegue che, rinunciando ai propri diritti di vincitori sulla Germania, i quattro paesi hanno anche compromesso i diritti al risarcimento dei loro alleati. Dunque la faccenda non riguarda più la Germania, ma semmai i rapporti fra i paesi vincitori e i loro alleati passati e presenti. Alla vigilia del Trattato di Mosca l’allora ministro degli Esteri Genscher trasmise alle ambasciate tedesche un memorandum –concordato con l’allora cancelliere Kohl – che istruiva le rappresentanze diplomatiche sulla risposta da dare a chi avesse sollevato ancora la questione delle riparazioni dei danni di guerra. I contenuti del memorandum erano quelli sopra esposti. I tedeschi si rifiutano di pagare i greci più di quello che hanno già volontariamente fatto (nel 1960) perché non si sono mai arresi a loro: questa è la logica dietro alla posizione di Berlino. Dalla quale discende il paradosso che la Grecia, insieme a una dozzina di altri paesi europei, avrebbe il diritto di considerarsi tuttora in guerra con la Germania.
E i soldi ai parenti delle vittime?
C’è comunque un argomento sul quale la logica tedesca inciampa: il prestito forzoso del 1942, rinnovato fino al 1944. È impossibile farlo passare per un danno di guerra estinto col trattato di riunificazione del 1990, perché è stato sempre classificato come un prestito e perché gli stessi nazisti, poco prima della loro ritirata nel 1944, avevano avviato le procedure per la restituzione. E questo sì che è un bel paradosso: la Germania europeista e democratica si rifiuta di restituire i soldi che i nazisti stessi avevano deciso che era giusto rimborsare. Quei fondi equivalenti a 476 milioni di marchi dell’epoca servirono a pagare i costi dell’occupazione tedesca e dello sforzo bellico delle truppe di Rommel nell’Africa settentrionale. Oggi equivarrebbero a 10/11 miliardi di euro, oppure 50-54 se si considerano gli interessi. La Banca centrale greca concesse il prestito senza interesse, ma è evidente che non aveva libertà di scelta. La posizione tedesca è aggravata dal fatto che nel 1965 l’allora cancelliere Ludwig Erhard promise alla Grecia che il prestito forzoso sarebbe stato restituito dopo la riunificazione della Germania.

Un’altra faccenda molto delicata è quella degli indennizzi ai parenti delle vittime delle stragi naziste di civili. Anche in Grecia furono numerose. Si calcola che dal Dopoguerra ad oggi la Germania abbia pagato l’equivalente di 71 miliardi di euro di indennizzi volontari (cioè extragiudiziali e senza ammettere la responsabilità diretta dello Stato tedesco) per questi crimini in tutto il mondo. Alla Grecia sono andate le briciole: i 57,5 milioni di euro di cui si è detto sopra. «L’equivalente di 2,5 euro al giorno per ogni greco internato ad Auschwitz», ha ironizzato lo storico tedesco Rondholz. Nel 1997 i discendenti delle vittime della strage di Distomo (un villaggio nei pressi di Delfi dove nel giugno del ’44 le SS massacrarono 214 uomini, donne e bambini) fecero causa allo Stato tedesco, e una corte greca diede loro ragione, fissando l’indennizzo che Berlino doveva loro versare in 28 milioni di euro.

Il ministero greco della Giustizia bloccò, per motivi politici, l’esecutività della sentenza. La causa proseguì a vari livelli, finché nel febbraio 2012 una sentenza della Corte internazionale di giustizia dell’Aja mise la parola fine alla contesa, stabilendo che dei privati non potevano fare causa a uno Stato straniero, essendo quest’ultimo coperto dall’immunità sovrana. La palla è tornata al ministero della Giustizia greco, che quest’anno ha minacciato di togliere il suo veto all’esecutività della sentenza del 1997 e di dare il via libera all’esproprio di beni tedeschi in Grecia come rappresaglia all’opposizione di Berlino alla rinegoziazione del debito greco. A parte l’alambiccata giustificazione tedesca del rifiuto di tornare sulla questione dei danni di guerra, quali altri argomenti possono essere opposti alle richieste greche? Quello più comune verte sul fatto che la Grecia è stata molto aiutata dai paesi occidentali – Germania inclusa – dalla fine della Seconda Guerra mondiale fino ai giorni nostri.

Un Piano Marshall ad hoc
Negli anni seguenti alla fine del conflitto l’Agenzia inter-alleata per le riparazioni fornì alla Grecia beni variamente stimati fra i 25 e gli 80 milioni di dollari di allora, poi con l’ingresso nell’Unione Europea nel 1981 il paese ha usufruito dei fondi strutturali. Il calcolo della somma complessiva è arduo: sappiamo che nel periodo 1994-’99 la Grecia ha usufruito del 12,5 per cento degli 80,5 miliardi del Fesr (il Fondo per lo sviluppo regionale), cioè 12,5 miliardi; nel periodo 2007-2013 ha ottenuto 20 miliardi dal Fondo di coesione.

«Bisogna avere memoria del fatto che per trent’anni la Grecia ha beneficiato di un piano Marshall alla decima potenza», scrive Jean Quatremer su Libération. «Ha ricevuto ogni anno una cifra pari al 4 per cento del suo Pil in fondi europei. E per dieci anni, grazie all’euro, ha potuto indebitarsi sui mercati finanziari al tasso d’interesse tedesco». Se la prima parte del ragionamento è inoppugnabile, la seconda è molto più discutibile: la corsa dei capitali tedeschi verso i titoli di Stato delle economie dell’Europa del sud non è stata una festa di beneficenza, ma un’operazione speculativa che contemporaneamente ha contribuito a rafforzare la competitività dell’economia reale tedesca a scapito degli altri paesi dell’Unione Europea; lo hanno ammesso anche economisti tedeschi come Jörg Bibow. E i danni di guerra causati dall’aggressione mussoliniana alla Grecia?, si starà chiedendo qualcuno. Nessun problema: l’Italia ha pagato i risarcimenti che doveva già nel 1947. Sarà anche per questo che ai greci riusciamo più simpatici dei tedeschi.

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