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I “telegrammi di Talat Pasha” spiegano il genocidio armeno

FABRIZIO FEDERICI da Futuro Quotidiano del 10 maggio 2021

Il 24 aprile 1915, esattamente 106 anni fa, mentre nel mondo, e anche in Medioriente, infuriava la Prima guerra mondiale, iniziava – prima ad Istanbul, poi in altre zone dell’Impero ottomano, il vero e proprio genocidio del popolo armeno, quel “Medz Yeghern” (in lingua armena, “Grande male”) che avrebbe causato un numero di morti – per eliminazione diretta, o per le conseguenze delle deportazioni, soprattutto in Siria – pari, secondo gli storici più documentati, ad almeno un milione. Un genocidio di cui, però, la Turchia non ha mai voluto assumersi ufficialmente le responsabilità, neanche durante i processi ai colpevoli tenuti nel Primo dopoguerra (a regime del sultano ormai agonizzante, di fronte all’ascesa di Kemall Ataturk). E di cui tuttora contesta cifre e modalità, e, soprattutto, la stessa definizione di “genocidio”: come emerso anche ultimamente, con le polemiche fra il leader turco Erdogan e il Presidente Usa Biden, “reo” di aver ufficialmente riconosciuto (sulle orme, del resto, di Barak Obama già nel 2015) le gravi responsabilità di Ankara nel “Medz Yeghern”.

Killing orders. I telegrammi di Talat Pasha e il genocidio armeno

Con un’introduzione di Antonia Arslan, la scrittrice italiana, di origini armene, autrice, tra l’altro, del romanzo del 2004, dedicato appunto al “Grande male”, “La masseria delle allodole”, l’editore milanese Guerini e Associati ha da poco pubblicato “Killing Orders – I telegrammi di Talat Pasha e il Genocidio Armeno”: documentatissimo saggio (pp.303, €. 25,00) di Taner Akçam, primo storico turco ad aver scritto e discusso apertamente del Medz Yeghern. Arrestato e condannato nel 1976 a 10 anni di reclusione per i suoi scritti, Akçam un anno dopo riesce a fuggire e rifugiarsi in Germania, ed oggi insegna, su questi temi, alla Clark University degli USA: è auspicabile che questo suo saggio avvii la definitiva chiusura dell’ormai secolare disputa sulle vere responsabilità della catastrofe che dal “1915 e dintorni”, sino addirittura ai primi anni ’20, funestò la vita del popolo armeno. Il lavoro di Akçam parte dall’esame di un fondamentale gruppo di documenti, tra i più discussi nell’ enorme mole di atti sinora pubblicati sulla tragedia del 1915-1922: e cioè i telegrammi di Talat Pasha (ministro dell’ Interno turco “de facto”, anche se non “de iure”, dal 1913 al ’18) e di altri alti esponenti dell’amministrazione ottomana, ai responsabili locali – militari e civili – nelle varie province dell’Impero. Dai quali emergono chiaramente le intenzioni genocidarie nei confronti degli armeni: da sempre odiati da turchi, e anche curdi, sia per le oro forti radici cristiane che per le loro capacità economiche, monopolizzatrici (un po’ come per gli ebrei) dei commerci in varie regioni dell’Impero ottomano. 

Non si può parlare, a tutt’oggi, di una vera e propria ”Wansee sul Bosforo”, una Conferenza ai massimi livelli della Sublime Porta, pianificatrice – nel 1914 -’15 – dello sterminio armeno, così come sarà poi, nel 1942, appunto per quella nazista, determinante per la Shoah. Ma da questi documenti, in particolare, emerge la volontà del vertice dei “Giovani turchi”, l’organizzazione – di idee liberali, ma con pericolose “scivolate” in senso “nazionalista-esoterico” – che nel 1908 aveva costretto il sultano Abdul Hamid II a ripristinare la Costituzione del 1876, di avviare una “pulizia etnica” nel traballante Impero.   Ma come è riuscito, Taner Akçam, ad individuare questi documenti? Alla fine della “Grande guerra”, il funzionario turco Naim Efendi – che aveva lavorato nell’ “Ufficio per la Deportazione” (degli armeni!) di Aleppo – vendette al giornalista  Aram Andonian, uno dei pochissimi intellettuali armeni sopravvissuti, una cospicua raccolta appunto di telegrammi originali  – e/o copie manoscritte – di Talat Pasha e altri burocrati turchi di primo piano: accompagnandoli con brevi note.

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Nel 1920-’21, Andonian, pubblicò il tutto in armeno, francese e inglese, intitolandolo “Memorie di Naim Bey”. Tappa successiva, in questa “caccia al tesoro” storiografico, fu l’incontro di Aram Andonian (scomparso poi nel 1952), alla Biblioteca Boghos Nubar di Parigi, che egli dirigeva, col prete armeno cattolico Krikor Guerguerian (1911-1988), studioso del Medz Yeghern (cui avrebbe voluto dedicare un dottorato  universitario). In quest’incontro, nel Secondo dopoguerra, Andonian poté vedere il materiale in possesso di Guerguerian, Molti anni dopo, nel 2015, il cerchio si è chiuso: il nipote del religioso armeno, Edmund Guerguerian, ha dato a Taner Akçam il permesso di usare, per il suo libro, il materiale dell’archivio di Krikor. Colpisce, nella ricostruzione del “Medz Yeghern” fatta da Akçam, l’intenzione – del governo prima di Abdul Hamid II, poi dei Giovani turchi, in questo perfettamente allineati – di rendere lo Stato ottomano “libero” da elementi (non solo armeni,  ma anche greci ed ebrei) non conformi a una pretesa “purezza”, integrità turca, razziale e religiosa. Colpisce, ovviamente, soprattutto per l’inevitabile raffronto con gli altri, successivi genocidi novecenteschi. Ma in particolare saltano agli occhi le “preziose lezioni” impartite dai turchi, nella Prima guerra mondiale, agli alleati tedeschi (presenti, nell’Impero ottomano, con funzioni soprattutto di appoggio logistico alle armate imperiali): sul piano, specialmente, delle deportazioni degli elementi indesiderati, a piedi (come non pensare alle successive “marce della morte” dei detenuti dai lager nazisti, dei primi mesi del 1945?) o in treno. E del resto, è documentata da vari storici la risposta che, molti anni dopo, Hitler avrebbe dato a quei suoi generali timorosi delle conseguenze, per la Germania, della ricaduta mediatica mondiale d’una “Shoah” allora solo “in fieri”: “Chi si ricorda, oggi, del genocidio degli armeni?”.

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