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Luigi XIV il re rivoluzionario che ritardò la rivoluzione

Matteo Sacchi – da Il Giornale di mercoledì 17/02/2021

Philip Mansel racconta l’ascesa di un monarca ragazzino che stabilizzò la Francia ma ad un prezzo altissimo.

Per rendersene conto niente di meglio della corposa biografia di Luigi XIV appena pubblicata per i tipi di Mondadori e a firma di Philip Mansel: Il re del mondo. La vita di Luigi XIV (pagg. 824, euro 35).

Mansel ricostruisce con acribia la vita (1638-1715) e il lungo regno del monarca che più ha caratterizzato, dalla guerra alla moda passando per la cultura, la seconda metà del Secolo di ferro e i primi anni del Secolo dei lumi.

Il re del mondo. La vita di Luigi XIV - Philip Mansel - copertina

E proprio nelle pagine che tratteggiano il primo periodo del regno del giovane Luigi si può vedere come sarebbero facilmente bastati una reggente (Anna d’Austria) e un primo ministro, il cardinale Giulio Mazzarino, meno accorti perché la Francia andasse incontro a profondi rivolgimenti politici ben prima della nascita di Robespierre.

Il Paese, stremato dal lungo confronto con la Spagna degli Asburgo, alla morte di Luigi XIII nel 1643 era una vera e propria polveriera sociale. Le grandi famiglie nobili, soprattutto i principi del sangue, erano ancora dotate di enorme potere e di eserciti privati, il parlamento di Parigi, ma anche le altre corti di giustizia sparse per il Paese, erano composte da una nobiltà di toga recalcitrante verso il potere centrale ed erano pronte ad impugnare ogni legge della monarchia che apparisse lesiva di libertà e «costumi della terra». Non solo, esistevano ancora tensioni tra ugonotti e cattolici, il sistema di tassazione era percepito come assolutamente vessatorio… Insomma, erano in corso tutti quei movimenti centrifughi che avrebbero provocato quei movimenti di rivolta noti come le due «Fronde».

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E qui si inserisce il miracolo Luigi XIV. Salito al trono a 5 anni, a lungo fu solo il, fragile, simbolo di una monarchia ancora rivestita di un potere mistico e magico ma sotto assalto sotto molti altri aspetti. A lungo la corte del giovane re fu costretta a vagare per le città francesi, essendo Parigi ingovernabile e il re a rischio di cattura da parte del potente di turno. I quattro anni che vanno dal 5 gennaio 1649, quando la corte dovette fuggire da Parigi, e il 3 febbraio 1653, quando riuscì a rientrarvi, sono tra i più confusi della storia di Francia. Ma intanto il giovane re iniziava a mostrare doti non comuni, a undici anni partecipò per la prima volta ad un consiglio di Stato. Nel 1650 contribuì con un pericoloso stratagemma a favorire l’arresto di due dei suoi principali nemici, i principi di Condé e di Conti. Li intrattenne fingendosi un ragazzino docile e timoroso, sino a condurli nel salone dove li attendevano guardie rege ben armate… Nel frattempo studiava sotto l’attenta sorveglianza di Mazzarino: latino, italiano, geografia e molta matematica. Gioco preferito di Luigi quando ne aveva tempo? La guerra. Addestrò sin dalla giovinezza una piccola truppa di nobili chiamati gli enfants d’honneur. Alcuni divennero ufficiali fidati dei suoi veri eserciti.

Appena compiuti 13 anni, equivalenti alla sua maggior età, venne ripetuta la cerimonia d’incoronazione. Iniziava un maggiore percorso d’autonomia che però Luigi XIV si guardò bene dal forzare. Si tenne stretto Mazzarino che sarà stato pure molto lesto a convogliare verso le sue finanze private molti dei redditi della corona, ma sapeva come muoversi in ogni contesto diplomatico militare. Solo dopo il 1661, e la morte del cardinale, Luigi prese in mano completamente il regno. Ma l’esperienza costruita sino a quel momento lo rese capace di rintuzzare qualsiasi tentativo di destabilizzare il suo potere. Stroncò il potente sovrintendente alle finanze Nicolas Fouquet (1615-1680) noto come «lo scoiattolo».

Aveva iniziato a distrarre grandi cifre dall’erario, a crearsi delle forze navali personali e a fortificare un’isola con 400 cannoni… Finì in carcere per il resto della vita ed iniziò l’ascesa di Colbert. Colbert compilava personalmente dei librini con cifre dorate, in cui Sua maestà poteva vedere l’andamento dei conti. Nonostante il noto sfarzo della costruenda reggia di Versailles in Luigi fu sempre presente l’idea dell’importanza del pareggio di bilancio e della creazione di manifatture francesi, capaci di far competere il Paese con le ben più avanzate, commercialmente parlando, Inghilterra e Olanda. Giusto per fare un esempio, tra i molti ricordati da Mansel, i francesi iniziarono una vera e propria guerra contro i veneziani per la fabbricazione dei pizzi. E ci scapparono pure un paio di morti, due maestri traditori trasferitisi in Francia e liquidati dagli agenti della Serenissima. Ovviamente questi buoni propositi economici portarono la Francia prima alla guerra dei dazi con i vicini e poi anche verso lo scontro aperto. C’era in Luigi un desiderio di egemonia che era sia ambizione personale sia la volontà di non veder mai più la Francia e la monarchia sull’orlo di sfaldarsi, sotto il peso delle pressioni esterne ed interne. Così Luigi si rivolse a quella che veniva chiamata Ultima ratio regum: ovvero le armi. Del resto proprio quel motto era inciso sui 13mila cannoni del suo esercito. Luigi sapeva bene, come del resto scriveva il suo segretario: «Dio è dalla parte dei grandi squadroni e dei grandi battaglioni contro quelli piccoli, e lo stesso vale per gli eserciti».

Ma in questo caso Luigi dimenticò anche che Dio non è quasi mai dalla parte di chi ha troppi nemici. Dal 1688 in poi fu quasi solo e soltanto guerra. In un certo senso quelle stesse guerre che un secolo dopo travolsero il nuovo sogno della Francia forte incarnato da Napoleone. In questo caso Luigi riuscì a salvarsi sulla soglia del baratro. Dal 1697 si rassegnò a cedere terreno ai nemici. Morì nel 1715 di cancrena al centro della sua corte magnifica essendo ancora il sovrano più potente d’Europa. E di certo nessuno in Francia avrebbe mai osato, a quel punto, ribellarsi alla monarchia. Ma era un sovrano isolato, nonostante avesse garantito ai Borbone il dominio della Spagna. E un sovrano che per vincere e unire il Paese aveva prosciugato tutte le risorse, anche morali, disponibili alla monarchia. Versailles era un enorme monumento al potere dei re, ma un monumento funebre. Il più grande dei sovrani non può cambiare il destino di una Nazione o di una monarchia. Al massimo ritardarlo di un secolo.

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