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Novembre ’20: il Trattato di Rapallo unì all’Italia Trieste, Gorizia, Istria e Zara

In data 12 novembre 1920 il Regno d’Italia ed il Regno dei Serbi, Croati e Sloveni (futuro Regno di Jugoslavia) firmavano il Trattato di Rapallo che definiva finalmente i rapporti tra i due Stati trovatisi a confinare dopo la dissoluzione dell’Impero austro-ungarico alla fine della Prima guerra mondiale. Non deve stupire che la definizione di tale confine avvenne due anni dopo il termine delle ostilità ed un anno dopo la firma dei principali Trattati di Pace: una volta implosi gli Imperi centrali, l’Europa centrale ed orientale fu attraversata da sconvolgimenti politici, militari ed istituzionali, cagionati anche dalle ripercussioni della rivoluzione sovietica in Russia, mentre nel contesto adriatico d’Annunzio compiva l’impresa fiumana.

Nell’ex impero zarista appunto Armata Rossa ed Armate bianche si davano battaglia spietata, ma l’apparato militare imbastito da Trotzky riusciva contemporaneamente a riprendere il controllo dell’Ucraina e del Caucaso che si erano proclamati indipendenti e a fronteggiare l’espansionismo polacco. E contro le rivendicazioni territoriali della rinata Polonia inerenti zone abitate da comunità tedesche, la fragile Repubblica di Weimar dovette affidarsi ai Corpi Franchi costituiti da reduci e veterani guidati da ufficiali carismatici del vecchio esercito imperiale. Amburgo, Monaco di Baviera e Berlino erano teatro di tentativi insurrezionali e di velleitari colpi di mano per rovesciare le nuove istituzioni, mentre in Ungheria la rivoluzione comunista di Bela Kun apriva la strada all’intervento delle potenze confinanti che contribuivano a portare al governo di Budapest l’Ammiraglio Horthy, ultimo comandante dell’Imperial-regia Marina da Guerra. La Grecia aveva invaso l’agonizzante Impero ottomano accarezzando il sogno di completare la “megale idea”, il progetto dello statista Venizelos di riunire tutte le comunità greche dei Balcani, dell’Egeo e dell’Anatolia in un unico Stato nazionale. L’ascesa di Mustafà Kemal (in seguito Ataturk) e la nascita della Repubblica turca avrebbero poi rovesciato le sorti del conflitto, terminato con lo sterminio di migliaia di greci ed un colossale scambio di popolazioni tra Atene ed Ankara.

Lo stesso Regno serbo-croato-sloveno, nato il primo dicembre 1918, dovette subito fronteggiare le velleità separatiste degli albanesi del Kosovo, la guerra civile tra montenegrini favorevoli all’annessione a Belgrado e lealisti di Re Nicola, nonché i malumori di sloveni e croati entrati a far parte di uno Stato che sostanzialmente era un’espansione del vecchio Regno di Serbia. Il 10 ottobre 1920 un plebiscito aveva sancito l’appartenenza della Carinzia alla Repubblica austriaca, frustrando le aspirazioni dei nazionalisti sloveni che speravano di incorporare al nuovo Stato slavo almeno la fascia meridionale del Land, abitata da una cospicua comunità di connazionali. Al fine di stabilizzare la situazione almeno sull’inquieto confine orientale (dalla Fiume dannunziana partivano stimoli e rifornimenti per i separatisti croati, sloveni e montengrini), Belgrado si sedette al tavolo delle trattative diplomatiche con Roma, ove era tornato al governo il cauto ed esperto Giolitti.

Nella cittadina ligure pertanto il 12 novembre 1920 si stabilì che Trieste, Gorizia e l’Istria entravano a far parte dell’Italia, coronando il sacrificio degli irredentisti caduti in battaglia o impiccati dagli asburgici nel corso del recente conflitto. Il Governatorato di Dalmazia dell’Ammiraglio Millo, che tante speranze aveva diffuso nella comunità italiana dalmata, concludeva la sua esistenza garantendo la sola annessione di Zara all’Italia, mentre il resto del frastagliato litorale passava sotto la sovranità di Belgrado, a dispetto di quanto previsto dal Patto di Londra. Era il confine che soddisfaceva le richieste del Regio Esercito, il quale chiedeva la displuviale delle Alpi Giulie, e frustrava le ambizioni della Regia Marina, la quale ambiva al controllo totale dell’Adriatico. Si trattava della linea confinaria che lasciava sotto la sovranità italiana gli sloveni ed i croati dell’entroterra giuliano (della cui sorte la classe dirigente serba era poco interessata) e lasciava in balia dei nazionalisti croati molto ben radicati in Dalmazia la minoranza italiana, la quale, nonostante alcune tutele previste dal Trattato, scelse in maggioranza la via dell’esilio. La Reggenza Italiana del Carnaro di Gabriele d’Annunzio veniva fatta sloggiare con le cannonate del Natale di Sangue per far posto allo Stato Libero di Fiume, la cui esistenza, dopo un colpo di mano fascista che avrebbe rovesciato la dirigenza di Riccardo Zanella, si sarebbe conclusa con il Trattato di Roma del 27 gennaio 1924, il quale assegnerà la città liburnica all’Italia e Sušak a Belgrado.

Le rinunce in Dalmazia, aggravate dall’esodo dei nostri connazionali, avrebbero dato adito alla retorica della vittoria mutilata, ma per gli italiani della Venezia Giulia, di Zara e ben presto di Fiume (all’epoca di Rapallo già grati al Comandante d’Annunzio per aver scongiurato l’annessione allo Stato slavo) giungevano a compimento gli auspici di irredentisti nazionalisti e mazziniani, delle classi dirigenti liberalnazionali e delle centinaia di volontari irredenti. La monarchia sabauda aveva completato il percorso risorgimentale raggiungendo il suo “confine naturale”.

Lorenzo Salimbeni

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