HomeStampa italiana 2Vanni Teodorani: "gli americani volevano vivo il Duce"

Vanni Teodorani: “gli americani volevano vivo il Duce”

Vita breve e intensa quella di Vanni Teodorani (1916-1964), entrato senza clamore nel gruppo familiare del Duce (sposò Rosina Mussolini, figlia di Arnaldo) senza volerne o riceverne vantaggi sociali, anche perché, al tempo del matrimonio, nel gennaio 1938, era già un giornalista affermato: collaboratore del Popolo d’Italia, di Azione sindacale, L’Ordine Corporativo, oltre che ufficiale segnalatosi in Eritrea, da cui diresse il Corriere Eritreo e poi, in Italia, la Cronaca Prealpina.

di Paolo Simoncelli da Avvenire del 18 marzo 2015 LogoAvvenire

Rischiò piuttosto di pagare in proprio, con la vita, un obbligo di fedeltà quasi più personale che politico. Veniva infatti da quella sinistra fascista che, sempre più marginalizzata nella politica del regime, avrebbe potuto fargli compiere scelte comode nell’estate del 1943, a maggior ragione non avendo responsabilità politico-militari d’alcun rilievo; e che invece lo condusse a Salò.

Qui, oltre a continuare un’attività giornalistica diretta a tentare di «veder armonicamente fusi il rosso e il nero», ricoprì l’incarico di capo della Segreteria militare di Mussolini, da cui fu incaricato di missioni riservate in Italia e oltre confine su cui – ricorda Giuseppe Parlato nell’introduzione al Quaderno. 1945-1946 dello stesso Teodorani (Stilgraf, pp. 245, euro 12), si sa ancora ben poco.

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Una figura e un’esperienza che si presta dunque a una doppia lettura: quella sempre affascinante del mistero e, nella fattispecie, dell’ultima missione per salvare Mussolini; e quella della sua esperienza politica che però, dopo la guerra e il pericolo ripetutamente corso d’una fucilazione sommaria, lo avrebbe visto attivo all’interno del Msi su posizioni filo-centriste, in opposizione alla divergente linea “terzista” del partito, fino a scontrarsi a duello con Giorgio Almirante. Circostanze descritte da Parlato con la nota competenza dello studioso di quella particolare destra del dopoguerra.
Ma queste pagine di Teodorani saranno particolarmente care ai numerosi “dongologi” (sempre in aumento con effetto moltiplicatore di ipotesi e fantasie), dato che offrono una testimonianza diretta e coeva proprio sulle tragiche giornate passate dal 25 al 28 aprile 1945 tra Milano e l’alto Lario. Cronaca vivida, al limite dell’irrealtà, quella che fornisce Teodorani del pomeriggio del 25 aprile a Milano, con gli incontri di Mussolini in prefettura e all’arcivescovado, tra un assieparsi angosciato non solo dei noti protagonisti, ma di comparse che chiedono di parlare al Duce del proprio porto d’armi o per riferirgli voci di biasimo sulla sua vita privata.

Un susseguirsi di casualità vedono Teodorani e suo cognato, Vito Mussolini, raggiungere Como senza accodarsi all’autocolonna del Duce, poi bloccata a Musso dai partigiani garibaldini di Pier Bellini delle Stelle che condurranno tutti i fermati al municipio di Dongo e di lì al loro tragico destino. A Como, nei locali della prefettura, Teodorani incontra «un certo Guastoni (…) da molti anni agente dell’Intelligence Service (sic), e il comandante Dessy», ufficiale della Marina del Governo del sud; con costoro stringe subito un rapporto di cordialità, ombrata dalle spacconate anticomuniste dell’agente dell’Oss statunitense. Proprio questi, scrive Teodorani, «ci assicura il miglior trattamento», proponendo di «recuperare» il Duce «e portarlo in campo americano».

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A loro si aggiungerà poco dopo, in rappresentanza di Raffaele Cadorna, comandante militare del Cln, il colonnello Sardagna – che però non farà parte del gruppo in partenza alla ricerca del Duce.
È la testimonianza dell’operazione, tentata nelle ultime ore, di portare Mussolini nella “zona franca” della Val d’Intelvi dove, con tutti gli altri fascisti, avrebbe dovuto essere consegnato alle truppe Usa, sottraendolo alle contemporanee ricerche di agenti inglesi del Soe che avevano il contrario obiettivo di eliminarlo.

Con due auto, una scorta partigiana e tutti i lasciapassare del caso (rivelatasi regolarmente inutili) e col sopraggiunto Pino Romualdi, si corre per le sponde del lago. Cernobbio, Menaggio, Cadenabbia, Tremezzo sono tappe di un’avventura pericolosa: ai posti di blocco, partigiani di diverso colore, disobbedienti ai propri comandanti (spesso improvvisati sul momento), animati dai peggiori propositi, ritardano, ostacolano, infine bloccano la comitiva arrestando tutti i componenti che davvero miracolosamente scampano alla fucilazione.

Teodorani, tornato e nascosto a Como, saprà della morte di Mussolini da radio e giornali. Saprà di altre esecuzioni sommarie, di suicidi di amici. Lasciata Como, rimarrà nascosto ancora per un anno. Poi riprenderà l’attività politica e giornalistica all’Asso di bastoni, da cui avvierà la prima contro-inchiesta sulla morte di Mussolini. Fonderà e dirigerà dal ’54 la Rivista romana, cui collaborarono Gedda e Ronca, alla ricerca di quella “conciliazione” tra spiritualità religiosa e nazionale, ormai però lacerata irrimediabilmente.

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