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Vittorio Sgarbi: “Restituire i capolavori? Una follia”

Rimandare nei paesi d’origine le opere d’arte sottratte è un principio pericoloso: così rischieremmo di smantellare i musei di tutto il mondo. Assurdo parlare di «furto», la storia la fanno i vincitori

da “il Giornale Online” del 05 luglio 2009 

Nel forzato dibattito, generato dall’apertura del mostruoso museo dell’Acropoli, sulla restituzione dei fregi del Partenone, trasportati da Lord Elgin a Londra, da Atene, un nuovo, ed entusiasta, adepto, Paolo Conti, sul Corriere della Sera, entra citando come modello l’Italia e i suoi governi di destra e di sinistra per avere perseguito tenacemente l’obiettivo della restituzione della stele di Axum all’Etiopia in una singolare confusione tra ciò che è proprio dello Stato e ciò che è arbitrio della criminalità, e auspica che la Gran Bretagna segua l’esempio dell’Italia. Per fortuna non mi sembra questa l’aria; da molti anni i responsabili del British Museum non prestano orecchio a questa richiesta insensata di cui pure molto, e soprattutto in questi giorni, si parla.
Conti evoca una non meglio chiarita «serietà» e mi chiama in causa per avere, prima come sottosegretario ai Beni culturali, e poi come osservatore di una politica così degradata da piegarsi non solo alle richieste dell’Etiopia, ma anche a quelle della Libia con la restituzione della Venere di Cirene, sostenuto i principi elementari della tutela e del carattere stesso delle istituzioni museali.
Molti ricorderanno, infatti, le mie invettive contro la decisione di restituire la stele di Axum all’Etiopia, grottesco precedente che, nella vulgata antifascista, confonde trafugamento con determinazione dello Stato imperialista e colonialista come furono, oltre all’Italia, la Francia, l’Inghilterra, la Spagna, l’Olanda.
Può essere stato inopportuno trasferire la stele di Axum nel 1937 a Roma, ma non è stato un furto, come non lo furono i trasferimenti al Louvre di migliaia di opere italiane e di reperti archeologici da parte di Napoleone.
I musei moderni, nel Vecchio e nel Nuovo continente, hanno molto facilmente questa origine di «rapina».
Oltretutto la questione è se debba essere legittimo quello che ha fatto Napoleone e non quello che ha fatto Mussolini, in entrambi i casi distinguendo ciò che fu compiuto nell’intereresse dello Stato rispetto agli abusi e alle appropriazioni di gerarchi nazisti per godimento personale.
Non preoccupa Paolo Conti il destino di dipinti italiani (penso, per esempio, a Sebastiano Ricci) ancora in Germania dopo essere stati rubati durante l’occupazione nazista?
In una più pertinente valutazione di vicende istituzionali, va invece considerato senza pregiudizi, e alla luce della Storia, nell’avvicendarsi delle dominazioni e nella definizione dei confini degli Stati, ciò che è entrato nei patrimoni nazionali in epoca coloniale, e che ha consentito la variegata costituzione dei più importanti musei europei.
Ho già risposto a Conti, sul Corriere, che se dovessimo accettare il principio della restituzione ai luoghi d’origine, in conseguenza della confusione tra dominio coloniale e occupazione, e se si sostiene la legittimità della richiesta della restituzione alla Grecia dei marmi del Partenone (annosa battaglia iniziata dalla intrepida ministra della Cultura Melina Mercouri), dovremmo smantellare importanti musei: tutto il Louvre, i musei di Berlino, in particolare quello di Pergamo, l’Antikensammlung di Monaco, il British Museum di Londra ma anche la National Gallery e la stessa Pinacoteca di Brera, esemplare rappresentazione di tutte le scuole di arte pittorica italiana, frutto delle rapine «regionali» di Napoleone.
Ritornando al Novecento, dovremmo poi smontare tutti i musei americani, quelli di archeologia naturalmente e soprattutto quelli di pittura italiana, originati dalle rapine di Berenson e Duveen. Per coerenza, se Atene richiede i marmi del Partenone, Ferrara dovrà pretendere gli scomparti del Polittico Roverella di Cosmè Tura divisi tra Parigi e Londra; Urbino dovrà riavere il capolavoro di Piero della Francesca sottratto all’altare della Chiesa di San Bernardino; Camerino la Madonna della Candeletta di Crivelli: entrambi ora a Brera. Infiniti polittici di pittori italiani, scomposti nei musei di tutto il mondo dovranno tornare alle loro sedi originarie.
È stato un bene per la cultura universale, che Raffaello e Leonardo fossero anche nei musei americani come lo era per l’Etiopia che la stele di Axum fosse a Roma davanti alla FAO, anche come monito nei confronti delle tentazioni colonialistiche.
Ci piaccia o no, e irreversibilmente, a parte qualche perversione determinata da un insensato senso di colpa postumo, la storia ha visto il patrimonio dei vinti traslato nei musei dei vincitori: ma è la storia, appunto: ed è anche la storia dei musei. E mi pare bene che i rigorosissimi inglesi non seguano il nostro scellerato esempio. Per non parlare poi della questione istriana e delle opere che, prima dell’occupazione titina, noi preservammo al patrimonio artistico italiano.
Dove dovrebbero stare, secondo Conti, in Italia o in Croazia?
La restituzione della stele di Axum è stato il segnale negativo di uno Stato debole che si vergogna della sua Storia arrivando alla farsa della visita di Gheddafi che ha ottenuto i risarcimenti dall’Italia ma non ha ancora restituito i beni sequestrati ai profughi italiani e si è dimenticato di manifestare riconoscenza per il dono da parte degli archeologici italiani dei siti di Leptis Magna, di Sabratha, di Apollonia, di Cirene. Senza gli italiani, quei luoghi dell’Umanità riposerebbero ancora sotto la sabbia.
L’occupazione italiana non è stata dunque solo rapina, ma è stata scoperta, restituzione di civiltà. E, se oggi Gheddafi può ricordare Settimio Severo, parlando a Roma in Campidoglio, lo deve all’impegno di quel governo italiano che, in Libia, fra le grandi opere, esercitò il suo dominio nello spirito di Roma Antica, attraverso le missioni archeologiche.
E visto il declino moderno di Atene, possiamo dire che il destino culturale dell’Occidente sarebbe stato diverso se Lord Elgin non avesse portato i marmi del Partenone a Londra.
Anche considerando esaurita, oggi, quella «missione culturale», quale sarebbe il vantaggio, se non per falso orgoglio nazionale o di decorazione di un brutto museo, di restituire il fregio alla Grecia? Almeno forse il progetto di ricollocarlo in situ!
Invece l’obiettivo è di sistemarlo nella cella frigorifera di un’altra architettura museale senza anima. Feticcio per feticcio, meglio il British Museum.

Vittorio Sgarbi

VUOI SAPERNE DI PIU’? VEDI L’ANTEPRIMA DELL’ARTICOLO DA STORIA IN RETE 35 SULLA CONSEGNA DELLA VENERE DI CIRENE ALLA LIBIA

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inserito su www.storiainrete.com il 28 luglio 2009

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