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Guerra nel Mediterraneo. La fine del mito di “Ultra” (e dell’infallibilità tedesca…)

Lo storico Enrico Cernuschi parla del suo libro dedicato al celebre sistea di decrittazione inglese “Ultra” che per molti anni è stato considerato il vero fattore di vantaggio degli inglesi nella dura “guerra dei convogli” con l’Italia e la Germania durante la Seconda guerra mondiale. Il continuo intercettamento di navi partite dai porti italiani con rifornimenti per le truppe dell’Asse in Nord Africa scatenò già all’epoca una polemica che si è protratta per decenni e che vedeva i comandi italiani sul banco degli imputati per le “fughe di notizie” che avvantaggiavano il nemico. Ma poi si è scoperto che ad essere “bucati” dai servizi di intercettazione britannici non furono gli italiani ma i tedeschi…

di Lieto Sartori da La Provincia Pavese del 4 aprile 2014

“Ultra la fine di un mito”, ovvero la guerra dei codici tra gli inglesi e le marine italiane (Mursia, 260 pagine 16 euro) è il libro di Enrico Cernuschi che ridimensiona l’importanza di Ultra nella guerra dei convogli del Mediterraneo. Ultra era il servizio di spionaggio inglese che a Bletchley Park, 75 chilometri a nord-ovest di Londra, in gran segreto durante la Seconda Guerra Mondiale arrivò ad arruolare migliaia di persone, la maggior parte “cervelli” civili, per decifrare i messaggi nemici, in primo luogo quelli tedeschi attraverso la macchina Enigma. Salutata negli Anni Settanta come “l’arma segreta” prediletta da Winston Churchill che avrebbe accorciata la guerra, l’importanza e l’impatto di Ultra sul conflitto sono ancora oggi dibattuti. Cernuschi parla già della “fine di un mito”.

Cernuschi, com’è nato questo libro?

“L’ammiraglio Luigi Donini, asso dei nostri decrittatori durante la guerra, negli Anni Ottanta subì una brutta ingiustizia: venne tacitato da una serie di pseudo esperti quando espresse le sue perplessità sull’importanza che si dava a Ultra, a partire dagli Anni Settanta, e sul fatto che gli inglesi, durante la guerra in Nord Africa potessero leggere i nostri messaggi e noi non i loro. Donini era l’ultimo superstite di quella generazione e testimone diretto dei fatti. Ma gli spazi editoriali si chiusero, venne sposata la tesi inglese di Ultra, ovvero del guerriero solitario ed eroico contro tutti, più intelligente e scaltro. Insomma, gli inglesi vincitori perché più bravi di tutti».

Invece?

«Il ruolo di Ultra non fu determinante e gli inglesi, durante la guerra, intercettarono solo una minima parte dei messaggi della Marina italiana. Ci sono arrivato dopo aver analizzato 37mila messaggi decrittati dagli inglesi custoditi a Kew Garden, nel Surrey, dove ha sede il Tna, l’Archivio di stato inglese. Tra l’altro ero accompagnato da due notai, a garanzia delle carte esaminate e quindi della qualità del lavoro».

Cosa ha scoperto?

«Il 95% di questi 37mila decrittati e archiviati come Ultra, sono di origine tedesca, dalle famose macchine elettromeccaniche Enigma. La media dei messaggi italiani viaggia tra il 3 e il 4%, la maggior parte dei quali decrittati dopo l’armistizio dell’8 settembre del 1943 e spesso inutili perché quasi tutti rivolti al traffico amministrativo».

Quindi la falla delle trasmissioni era tedesca?

«Certamente non italiana. Gli inglesi nel Mediterraneo intercettarono soprattutto i messaggi dell’aviazione tedesca, la Luftwaffe. Ma c’è anche un altro aspetto, se vogliamo più banale: il Mediterraneo è un mare relativamente piccolo e le rotte dall’Italia a Tripoli erano obbligate, i convogli partivano quasi tutti i giorni per alimentare l’esercito e la colonia italiana: bastava un ricognitore aereo e condizioni atmosferiche accettabili, il che non é inusuale nel Mediterraneo meridionale, per individuare le nostre navi con i rifornimenti».

Quindi, almeno nel Mediterraneo, Ultra non fu quell’arma segreta così efficace come ci hanno fatto credere molti storici?

«Secondo me servì soprattutto a livello statistico perché permetteva di avere gli ordini di grandezza: quante navi, quanto materiale, la ricezione dei porti. Questo avrebbe permesso di capire se si progettavano offensive. Ma Ultra era solo la segnalazione, il “fischio d’inizio”, perché comunque la navigazione in mare cambia continuamente, per il tempo, gli imprevisti, la praticabilità dei porti in quel momento».

Come si svolsero i rifornimenti dall’Italia al fronte africano?

«Certo ci furono delle perdite, ma i rifornimenti arrivavano: 65mila tonnellate fu la media mensile consegnata dalla nostra Marina per tutto il periodo di guerra dal 1940 al 1943 e 65mila tonnellate al mese era la capacità ricettiva dei porti di Tripoli, Bengasi e Marsa Matrouch».

Tradotti in percentuale?

«Oltre il 75% del materiale e oltre il 95% del personale arrivò sano e salvo nei porti del Nord Africa. Non solo, la nostra Marina intercettò anche i messaggi inglesi».

Con quali risutati?

«Il servizio informazioni della Marina, attraverso i propri decrittatori, arrivò a segnalare buona parte degli attacchi inglesi al nostro naviglio, dandogli il tempo di cambiare rotta, in modo che non subissero danni».

Come?

«Attraverso il messaggio Papa, ovvero “Precedenza assoluta sulla precedenza assoluta” cui è dedicato un capitolo del libro, i nostri decrittatori in tempo record intercettavano il messaggio inglese, lo decrittavano, lo paragrafavano, lo ritrasmettevano cifrato e avevano il ricevuto e compreso dalla nave. Tutto ciò in 20 minuti, a volte anche sotto i 10. Il tempo medio inglese di Ultra a Bletchley Park era di 10 ore e quello tedesco di 12. Durante la guerra gli inglesi persero 41 sommergibili nel Mediterraneo, ad opera soprattutto della Marina italiana, e 21 nel resto del mondo. Non solo, dopo l’armistizio la Marina inglese fu informata dagli italiani che leggevamo i loro messaggi, ma non ci credettero».

Chi e quanti erano i decrittatori italiani?

«Una dozzina e tutto partì da due ufficiali: il romano Luigi Donini e il veronese Giorgio Verità Poeta».

Dalle sue ricerche esce anche ridimensionata la personalità della “Volpe del deserto”, il generale Rommel.

«Stabilita la regolarità dei rifornimenti e la quantità rispettata, la ragione della sconfitta non fu la mancanza di carburante e munizioni. La sconfitta va innazitutto ricercata nella sproporzione di forze in campo a favore degli Alleati. Comunque, qualsiasi persona di buon senso sapeva che con l’entrata in guerra degli Stati Uniti il destino del conflitto era segnato a favore degli Alleati, era solo questione di tempo».

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