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Italia coloniale

La Libia non era uno “scatolone di sabbia”. Ma perché l’Italia non estrasse il petrolio?

Gaetano Salvemini scagliandosi contro la guerra italo-turca del 1911 definì la Libia uno «scatolone di sabbia». Aveva torto!
Già nel 1914, durante lo scavo di alcuni pozzi alla ricerca di acqua da parte delle nostre truppe, erano fuoriuscite piccole quantità di greggio nella Cirenaica e nella regione della Sirte, ma lo scoppio della Prima Guerra Mondiale non diede modo di approfondire le ricerche. Nel 1926 con le prime ricerche nella pianura padana, nasce con Regio Decreto l’Agip“Azienda Generale Italiana Petroli” e nel 1927, tramite l’emanazione della c.d. “legge mineraria”, divenne il tramite per eseguire ricerche nel sottosuolo nazionale e quindi anche dei territori delle colonie italiane. Nella Libia, amministrata dal Governatore Pietro Badoglio, nel 1929 nasce una società fondata da alcuni italiani residenti a Tripoli che ottiene l’autorizzazione per iniziare le prime ricerche di petrolio. In questi anni fa la sua comparsa il geologo Ardito Desio, classe 1897, nato a Palmanova (UD), fondatore dell’Istituto di Geologia dell’Università di Milano e poi organizzatore della missione per la conquista della vetta del K2, la seconda cima più alta del mondo, raggiunta da Compagnoni e Lacedelli.
Il suo primo viaggio nella “Quarta Sponda” era del 1926. Muovendosi a dorso di cammello fece i rilevamenti necessari per la pubblicazione della prima carta geografica e geologica del paese. Scoprì importanti riserve d’acqua indispensabili per realizzare, in particolare nella provincia di Misurata, i progetti di colonizzazione e di trasformazione agraria. Nel 1936 scoprì giacimenti di magnesio e potassio nell’oasi di Marada, che gli permisero di constatare la presenza di idrocarburi. Ne informò Mussolini, che gli chiese di continuare l’esplorazione, e lavorò da quel momento con l’Agip. Fu preparato un programma triennale di ricerche nella regione Sirtica proprio dove gli americani, dopo la fine della guerra, trovarono i maggiori campi di idrocarburi.
Il programma venne messo in opera nel 1938, e furono scavati diciotto pozzi dai quali vennero estratti i primi litri di oro nero, ma il petrolio trovato da Desio era al di sotto dei duemila metri e, con le tecnologie di allora, difficilmente utilizzabile. Inoltre nessuno poteva prevedere all’epoca che a quelle profondità ci potessero essere accumuli di idrocarburi dell’entità scoperta in seguito. Lo stesso Desio aveva anche insistito con Italo Balbo, da poco divenuto Governatore della Libia, affinchè ottenesse dagli Stati Uniti una sonda più grande per scendere a profondità maggiori nel terreno. Ma la Seconda Guerra Mondiale interruppe nuovamente le operazioni.
A fine conflitto i piani di scavo italiani caddero nelle mani delle compagnie britanniche, francesi e statunitensi presenti nel neonato Regno di Libia. Non stupisce infatti che nella Roma liberata la prima visita degli Alleati venne fatta – non casualmente – all’Istituto di geologia, dove si trovavano conservate le carte redatte da Desio.
L’Italia non ebbe alcun vantaggio pur avendo sperato di poter conservare almeno una parte del territorio libico, ma gli alleati si accordarono per la creazione di un regno, nato nel dicembre 1951, sotto la guida di Re Mohammed Idris Al Mahdi, leader dei Senussi. Nel mentre l’industria petrolifera americana mise a punto nuove tecniche di perforazione che permisero di raggiungere sempre maggiori profondità e con sempre crescente facilità. Nel giugno 1959 l’americana Esso confermò la presenza di importanti giacimenti a Zeltan in Cirenaica – ed è bene ricordarlo – in quegli stessi luoghi dove Desio aveva fatto le sue prime scoperte. La produzione cominciò subito, sulla base di contratti che assicuravano al governo libico il 50% dei profitti, e crebbe velocemente divenendo la prima risorse economica del paese: 900.000 tonnellate nel 1961, 40,9 milioni nel 1964, 58,5 nel 1965, 72,3 nel 1966. La Libia divenne il principale fornitore di greggio per l’Italia con circa 500.000 barili al giorno con punte del 25% dell’import complessivo nel periodo precedente alla caduta di Gheddafi.


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